Orig.: Italia (2000) - Sogg.: tratto dalla raccolta di racconti "Grande raccordo" di Marco Lodoli - Scenegg.: Marco Lodoli e Silvia Brembilla con la collaborazione di Angelo Orlando e Gianfranco Mingozzi - Fotogr.(Normale/a colori): Luigi Verga - Mus.: Nicola Piovani - Montagg.: Alfredo Muschietti - Dur.: 105' - Produz.: Mariella Li Sacchi per Factory.
Interpreti e ruoli
Roberto Citran (Giuseppe), Nicola Russo (Tobia a vent'anni), Candice Hugo. (Annette), Renato Scarpa (il proprietario), Luigi Diberti (l'ingegnere), Bustric (Mosé), Angelo Orlando (un barbone), Veronica Bruni, Patrizia Sacchi, Evelina Gori, Catherine Zago, Remo Remotti
Soggetto
Il Quattro Palme é un caffè elegante, frequentato secondo tradizione da persone eleganti, intellettuali,amanti della musica lirica e della poesia. Giuseppe, uno dei camerieri, vi si dedica anche al di là dell'orario di lavoro, sentendosi ormai parte di quel luogo. Nel locale cresce anche Tobia, un ragazzino figlio di un ingegnere. Quando i genitori muoiono, Tobia, ormai grande, trova in Giuseppe il vero punto di riferimento. Quando nel caffè entra un rumoroso gruppo di giovani, Tobia tra loro vede Annette, ne è colpito, le regala un anello che però non le entra e allora lei lo rifiuta. Il padrone del caffè muore per infarto. Lentamente gli avventori cambiano. La crisi incombe, e il nella sala vengono ospitate alcune televendite. Quando si avvicina il fallimento, Tobia decide di rilevare il locale. Una sera alcuni barboni si presentano alla porta. Giuseppe vorrebbe cacciarli, ma Tobia decide di aprire e di accoglierli. Tutti insieme festeggiano il compleanno di Tobia. Arriva anche Annette. Tobia la vede e scappa. Giuseppe lo insegue. In una strada in città lo vede com'era da piccolo ed ora da grande.
Valutazione Pastorale
Film all'apparenza semplice fino all'ingenuità ma in realtà acuto e denso di notazioni non banali. Quanto mai indovinata è la scelta del caffè come luogo-simbolo di fronte al quale è possibile verificare i radicali, confusi e spesso disordinati cambiamenti cui è andata incontro la società italiana degli ultimi 30-40 anni. Dentro il caffè che muore per lasciare il passo ad altre realtà culturali e aggregative c'è tutta la realtà di un'Italia che a poco a poco è lentamente scomparsa, anzi si è lasciata morire di fronte all'invadenza e all'aggressività di nuove forme di commercio, di relazioni sociali, di comunicazione: e quello che questi caffè hanno rappresentato e significato nessuno si è curato di ricordarlo e di trasmetterlo come dato storico e di memoria collettiva. Riferimenti realistici dunque per un film che poi è strutturato in maniera non realistica, fatta di impressioni, sogni, sentimenti, rimpianti. Ma non appiattito sulla nostalgia: anzi, secondo la lezione zavattiniana, disponibile di fronte ai 'poveri', ai nuovi emarginati, alle realtà sociali che incombono e ci circondano. In una prevalente dimensione metaforica, la storia esprime il disagio di chi ancora prova entusiasmo per l'arte e la vita ma vede questo equilibrio messo da parte con disprezzo. Film malinconico, attraversato da una poesia appena accennata ma sincera: da accogliere positivamente dal punto di vista pastorale, segnalando qualche riserva per alcuni passaggi inutilente scabrosi.
UTILIZZAZIONE: il film é da utilizzare in programmazione ordinaria, con attenzione per la presenza dei minori. Da recuperare come film-testimonianza sui contrasti stridenti della società italiana contemporanea.