“Sorry We Missed You”
È uscito nelle sale italiane dal 2 gennaio 2020. Parliamo di “Sorry We Missed You” del regista inglese Ken Loach, potente e impietoso sguardo sulla realtà lavorativa odierna che si ricollega magistralmente alla filmografia di grande impegno civile dell’autore ultraottantenne. Quando nel 2016 Loach ha vinto per la seconda volta la Palma d’oro al Festival di Cannes con “Io, Daniel Blake”, lacerante e commovente parabola degli ultimi, in molti hanno pensato a un film di congedo dallo schermo, a un film-testamento. Ecco invece Loach sorprenderci ancora una volta con il bellissimo, durissimo, “Sorry We Missed You”, con cui osserva la realtà sempre dal basso, dando voce a quanti vivono sul crinale della povertà. La storia: a New Castle vivono Ricky e Abbie, sposati da anni e con due figli. Abbie fa l’infermiera a domicilio e viene pagata in base ai pazienti che visita nella giornata lavorativa, spesso di oltre 12 ore; Ricky ha perso più volte il lavoro e si è reinventato fattorino nel commercio online (per far questo è costretto a procurarsi un furgone, indebitandosi gravosamente). Il film ci mostra una lotta di poveri e tra poveri, che arrancano disperatamente per uscire dal cono buio della crisi. Ricky e Debbie fanno sacrifici al limite delle proprie forze, stramazzando sul divano a fine giornata, storditi dalla fatica; e intanto i figli crescono, lontani dai loro occhi. Ma come addossargli colpa? Ancora una volta Ken Loach picchia duro, realizzando un film intenso e compatto, che aggancia lo spettatore grazie alla presa di forte realismo. Una narrazione dove la brutale realtà sottrae la scena alla poesia, lasciando nello spettatore una cocente riflessione e un cuore gonfio di emozioni. Dal punto di vista pastorale il film è da valutare come raccomandabile, problematico e adatto per dibattiti.
“Io, Daniel Blake”
In “Io, Daniel Blake” (2016) Ken Loach fotografa la condizione di chi per problemi di salute o per aver perso il proprio impiego è costretto a rivolgersi allo Stato per ottenere un sussidio. È l’inizio di un girone infernale dove le difficoltà hanno la meglio sul senso di giustizia e solidarietà. La storia: Daniel Blake (Dave Johns) è un falegname sessantenne che per problemi cardiaci deve sospendere la propria attività e richiedere un sostentamento pubblico. Appena si trova davanti al mondo della burocrazia fa esperienza immediata del livello di miseria umana e senso di abbandono, di impotenza. Daniel inoltre prende a cuore la condizione di Katie (Hayley Squires), mamma sola di due bambini in cerca anche lei di un sussidio statale. Un incontro segnato dalla tenerezza. Ken Loach scuote lo spettatore di fronte ai problemi concreti e urgenti dell’oggi, ovvero il diritto a un lavoro e la possibilità di condurre una esistenza decorosa. L’opera di Loach, la sua intera filmografia, è un grido furente ma anche poetico, segnato da rabbia e dolcezza, uno sguardo denso di misericordia verso coloro che perdono i propri diritti e si vedono tagliati fuori dalla società. Regia lucida e diretta, senza orpelli o sequenze gratuite; la narrazione di “Io, Daniel Blake” va diritta al cuore del problema, non facendo sconti, soprattutto alle istituzioni alle quali il regista chiede un impegno più presente, un volto più umano. Nel suo film emerge però anche una forte carica emotiva: non si può rimanere impassibili, indifferenti, davanti alle peripezie di Daniel e Katie, simbolo di un’umanità stretta nella trappola di una burocrazia cinica senza trovare appiglio o aiuto. Daniel e Katie sono anche simbolo di solidarietà e fratellanza, la speranza di un mutuo soccorso sempre possibile. È infatti un’umanità che ama, che spera ancora in un riscatto possibile, un riscatto che avviene proprio grazie all’incontro con l’altro. Il film è da valutare come raccomandabile, problematico e adatto per dibattiti.
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