Nella filmografia di Ermanno Olmi (Treviglio, 1931), I fidanzati è il terzo lungometraggio, dopo Il tempo si è fermato (esordio, 1959) e Il posto, 1961. Giova naturalmente ricordare che l’inizio vero e proprio dell’attività del regista bergamasco si colloca nel 1954 con Piccoli calabresi a Suna sul Lago Maggiore, un corto di 10’, una sorta “di provino” (dice Olmi), cui fanno seguito altri 15 lavori (il più lungo di 24’) in 5 anni, tutti di taglio documentaristico/ commerciale. I fidanzati esce nelle sale il 25 marzo 1963. Scritto e sceneggiato dallo stesso Olmi, è la storia di Giovanni che accetta la possibilità offertagli dalla ditta di trasferirsi in Sicilia e lavorare all’oleodotto siciliano in una situazione totalmente nuova ma con la possibilità di ottenere rapidi passaggi di carriera. La scelta di Giovanni è accolta con dolore da Luciana, la fidanzata, che resta incerta e indecisa sul proprio futuro. Il rapporto tra i due vive una fase di stanca. Giovanni è preso dalla conoscenza con luoghi, persone e abitudini , vive momenti belli e brutti, capisce la necessità di fare i conti con problemi molto sfaccettati e complessi. Quando Liliana gli scrive alcune lettere di forte intensità, sente giunto il momento di far ricominciare da capo la storia d’amore con la ragazza. Con maggiore esperienza e consapevolezza. I fidanzati è un film di straordinaria ricchezza espressiva e di alta suggestione poetica.
A 50 anni di distanza, quei primi sette minuti nella sala da ballo milanese e quel finale con i due bambini in cerca di riparo dall’acquazzone in Sicilia fotografano una capacità di scavo nell’anima dei luoghi e delle persone che sorprende e lascia sbigottiti. Lo sguardo acuto dell’Olmi documentarista entra con discrezione nella vicenda di Giovanni e Liliana, disegnando una lucidissima linea d’incontro tra realtà e finzione: la m.d.p, osserva senza disturbare, catturando con dolce vigore i moti degli affetti, dei sentimenti, le distonie delle reazioni, il diagramma delle gioie e dei dolori. Olmi è, in quel momento, il poeta dell’umanesimo, e la regia spacca il facile traguardo della denuncia e del sociologismo per restare dalla parte dell’uomo e della donna, per dire la necessità di un lavoro rispettoso della dignità, di uno sviluppo che significhi favorire e non ostacolare l’amore di una coppia. Fotografia lirica e nitida dell’italia del boom, il film conserva una attualità imprevista e forse inedita. Un film di 50 anni fa che parla a noi spettatori del 2013: un cinema fatto con la pasta del cuore e il lievito dell’anima.