Il matrimonio, la relazione di coppia, tra pennellate di sentimento, dialogo e intesa, come pure silenzi, dissidi e parole burrascose. Lo sguardo sulla società attraverso due registi, due generazioni, due industrie culturali a confronto, nel punto “punto streaming” di questa settimana con la Commissione nazionale valutazione film Cei e l’agenzia Sir. Da un lato l’ultimo film di Pupi Avati, “Lei mi parla ancora”, dall’8 febbraio su Sky e sulla piattaforma NowTv: il racconto di un matrimonio durato 65 anni, quello dei coniugi Sgarbi, con tutta la dolcezza, l’intensità e la malinconia di un maestro del cinema italiano. E poi, su Netflix dal 5 febbraio, “Malcolm & Marie” di Sam Levinson con i due divi in ascesa Zendaya e John David Washington: elegante ma verbosa radiografia di una coppia nel mondo hollywoodiano.
“Lei mi parla ancora”
Da oltre cinquant’anni il regista-sceneggiatore bolognese Pupi Avati racconta il nostro Paese, i suoi snodi, le sue atmosfere e tradizioni, intrecciandole con i fili del cuore, con storie dense di umanità e dal respiro comunitario. Tra i suoi temi ricorrenti ci sono l’amore, il legame di coppia, il valore del matrimonio e la sua resilienza nel tempo. Tra cinema e televisione, pescando soprattutto sui titoli realizzati nel nuovo Millennio, possiamo ricordare ad esempio: “Il cuore altrove” (2003), “La seconda notte di nozze” (2005), “Una sconfinata giovinezza” (2010), la miniserie “Un matrimonio” (2013) e il film Tv “Le nozze di Laura” (2015). Dall’8 febbraio in esclusiva su Sky Cinema e sulla piattaforma NowTv è sbarcata l’ultima fatica artistica di Avati, “Lei mi parla ancora”, una raffinata e malinconica riflessione sul matrimonio, prendendo le mosse da un romanzo biografico, da una vicenda vera, quella dei coniugi Giuseppe Sgarbi e Rina Cavallini, i genitori di Vittorio ed Elisabetta Sgarbi.
La storia: in una casa-museo di campagna a Ferrara vivono Giuseppe (Renato Pozzetto) e Rina (Stefania Sandrelli), sposati da sessantacinque anni; Rina è affaticata, segnata da una malattia logorante, e i due coniugi sentono avvicinarsi il pericolo della separazione. La malattia rimette in campo nella memoria dell’uomo un mosaico di ricordi, di tessere che tratteggiano quel legame sbocciato nell’Italia del dopoguerra e fortificato, tra alti e bassi, con cura e custodia, lungo oltre sei decenni. Un flusso di ricordi, resi con sognanti flashback da Avati – vediamo i due da giovani interpretati da Isabella Ragonese e Lino Musella –, che affastellano il presente e spingono Giuseppe a voler condividere quel tesoro, quel bagaglio di emozioni e memorie, in dialogo con un indolente giornalista (Fabrizio Gifuni): Giuseppe tratteggia così la sua esistenza resa migliore, piena di senso, perché condivisa insieme alla moglie Rina. Un’esistenza giocata sul “Noi” e non centrata nell’“Io”.
Pupi Avati si conferma come sempre un grande maestro, valorizzando soprattutto quella sua cifra poetica che gli permette di raccontare il tessuto sociale del Paese con un misto di ironia, dolcezza e malinconia. In lui c’è sempre un sottofondo di nostalgia verso un mondo, un orizzonte socio-culturale che va sbiadendo, che però andrebbe custodito con memoria e attenzione; una nostalgia anche per un certo modo di fare cinema che inevitabilmente sembra non esistere più.
Tralasciando qualche piccola soluzione narrativa poco riuscita, convince e coinvolge con dolente dolcezza il film “Lei mi parla ancora”, dove scorgiamo tutta la forza di un cinema che sa affrontare in maniera autentica e vibrante, ma con tenerezza, il valore dei legami e il senso di una scelta come il matrimonio, pensato come l’incipit di un duraturo cammino condiviso e non come l’ebrezza patinata di un momento. Come ha ricordato lo stesso Avati al Sir, in un dialogo con Massimo Giraldi, presidente della Commissione film Cei: “Io sono sposato da cinquantacinque anni con mia moglie e proprio l’idea di ‘per sempre’ fa scattare in me qualcosa di profondo e remoto. E ho voluto indagare, in una sorta di backstage, i motivi per i quali un vecchio signore di ottant’anni si confronti con un giovane che desidera rileggere gli stessi avvenimenti. Si tratta, come si capisce bene, di una situazione che esula dalla contemporaneità per entrare in uno spazio fuori dal tempo. Rivedo quella vicenda alla luce dell’oggi: i sentimenti scavano nella commozione e lasciano una luce che non si spegne”. Dal punto di vista pastorale il film “Lei mi parla ancora” è da valutare come consigliabile, poetico e adatto per dibattiti.
“Malcolm & Marie”
Girato di tutta fretta nell’estate 2020, nel cuore della pandemia da Covid-19, approda all’inizio dell’anno nuovo su Netflix il film “Malcolm & Marie” del regista-sceneggiatore Sam Levinson – figlio del noto Barry Levinson –, classe 1985, che si è imposto all’attenzione di critica e pubblico con pochi rumorosi titoli, tra cui la problematica serie sugli adolescenti “Euphoria” (2019) targata Hbo. Con “Malcolm & Marie” il giovane Levinson conferma un indubbio talento e un desiderio di costruirsi un’identità ricercata come autore. La storia: Malcolm (John David Washington) e Marie (Zendaya) sono una giovane coppia tra i venti e trent’anni che vivono in una grande villa sulle colline di Los Angeles. Lui è un regista al suo esordio cinematografico, lei la sua spalla, la sua musa ispiratrice. La narrazione è giocata tutta in una notte, quando rientrati a casa dalla prima del film di Malcolm i due si confrontano-affrontano tra cinema e quotidianità, intimità, fino alle prime luci dell’alba. Uno scavare nelle pieghe personali, nella loro relazione di coppia, alla luce di attese-delusioni professionali, che incanala il film in un lungo, intenso, a tratti stancante dialogo.
Nota di merito. La confezione formale, la fotografia, un elegante e di certo molto affascinante bianco e nero, sono il punto forte del film che gira anche con vigorosità grazie a una regia presente, decisa, come pure alle interpretazioni generose – anche se, a essere del tutto sinceri, forse non risultano poi così “mature” a giudicare dalla gamma di sfumature messe in campo – dei due divi in ascesa John David Washington (visto in “BlacKkKlansman” e “Tenet”) e Zendaya (tra i suoi titoli “Spider-Man: Homecoming” e “Euphoria”).
Tasto dolente. Senza scomodare paragoni alti con “Scene da un matrimonio” (“Scener ur ett äktenskap”, 1973) di Ingmar Bergman oppure “Carnage” (2011) di Roman Polański, possiamo dire che “Malcolm & Marie” è un po’ claudicante rispetto al già più recente “Marriage Story” (2019) di Noah Baumbach. Lì, infatti, c’è una scrittura che funziona, i dialoghi sono belli, profondi, densi; qui nel film di Levinson i dialoghi sono ripetitivi, stancanti e a tratti insistiti. Pure un filo banali. Insomma, intrigante ma anche un po’ pretenzioso. Nell’insieme, tornando al parallelismo con il film di Pupi Avati, “Malcolm & Marie” è il racconto di una coppia che scoppia, che deraglia irreparabilmente, perché si abbandona all’“Io” dimenticandosi del “Noi”. Dal punto di vista pastorale il film “Malcolm & Marie” è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti.
Articolo disponibile anche sul portale dell’Agenzia SIR