“La casa degli sguardi”, “Il ragazzo dai pantaloni rosa” e “La legge di Lidia Poët 2”

venerdì 25 Ottobre 2024
Un articolo di: Sergio Perugini

Il difficile mestiere di essere genitori. Ma anche di essere figli. Di questo ci parlano due titoli forti alla 19ª Festa del Cinema di Roma. Anzitutto “La casa degli sguardi”, opera prima di Luca Zingaretti che porta sullo schermo un testo di Daniele Mencarelli: è la storia del ventenne Marco, inghiottito dalla vertigine della bottiglia, che grazie a un lavoro come addetto alle pulizie presso l’Ospedale Bambin Gesù forse avrà la possibilità di cambiare rotta, di salvarsi e salvare il rapporto con il padre. Dolente, intenso, marcato da tenerezza. Zingaretti firma un film misurato che commuove. In cartellone anche uno dei titoli più attesi di Alice nella città: “Il ragazzo dai pantaloni rosa” di Margherita Ferri, che racconta l’esistenza fragile di Andrea Spezzacatena, quindicenne suicida nel 2012 vittima di cyberbullismo. Il film non vuole essere una mera cronaca disperante, bensì una storia che si muove secondo una traiettoria educativa. Al centro il valore del dialogo, perché le parole possono ferire e persino uccidere. Con Claudia Pandolfi e Samuele Carrino. Infine, è il giorno anche della serie Netflix “La legge di Lida Poët 2” con Matilda De Angelis, diretta da Matteo Rovere, Letizia Lamartire e Pippo Mezzapesa. Il punto dalla Festa.

“La casa degli sguardi”

“È il mio primo film come autore e regista. (…) Un film che parla di genitori e figli e della capacità di stare, come atto di amore più puro. È un film sull’amore e l’amicizia, che possono farti ritrovare la strada di casa. (…) Un film sulla vita, dove c’è sempre un motivo per resistere, sulla speranza e sulla capacità dell’uomo di risorgere”. Così Luca Zingaretti, presentando la sua opera prima come regista (in Tv ha portato a termine gli ultimi episodi de “Il Commissario Montalbano”). È “La casa degli sguardi”, adattamento dell’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli, di cui Zingaretti è autore del copione insieme a Gloria Malatesta e Stefano Rulli. Un viaggio padre e figlio segnato dallo smarrimento di quest’ultimo tra male di vivere e una dipendenza dalla bottiglia che lo svuota e lo trasforma. Un cammino di riparazione, lento e sofferto, che passa per ripetute cadute, faticosi tentativi di risalite e soprattutto per la presenza di un padre che con amore silenzioso e costante non smette di sperare. Prodotto da Bibi Film, Clemart, Rai Cinema, Stand By Me e Zocotoco, sarà nei cinema nel 2025 con Lucky Red.

La storia. Roma, oggi. Marco è un ventenne che soffre per la perdita della madre e fatica ad avere un dialogo con il padre. Si è chiuso in se stesso, allontanando amici e fidanzata; compone poesie ma non trova il coraggio di condividerle. Riesce solo a bere fino a stordirsi. Un giorno il padre gli procura un posto come addetto alle pulizie in una cooperativa presso l’Ospedale Bambin Gesù. Per Marco sulle prime è una sfida difficile, perché scostante e desideroso di tornare alla bottiglia; piano piano inizierà ad aprirsi con i colleghi e i piccoli pazienti della struttura, che lo faranno sentire di nuovo amato…

Zingaretti dirige un film duro e potente. Il diario di bordo di una caduta nelle pieghe della disperazione di un ventenne che non trova stimoli nel futuro. Un vinto per troppo dolore, che si nega ogni talento e possibilità. Uno smarrimento che genera sofferenze al giovane e per riflesso anche al genitore, che gli rimane a fianco con ostinazione e resilienza, sfidando spesso lo sconforto. “La casa degli sguardi” descrive la caduta nel vuoto di un giovane uomo – un po’ come la serie “Tutto chiede salvezza” sempre da un romanzo di Mencarelli –, che si sente perso e fatica a rimettersi in partita con la vita. Zingaretti governa il racconto con misura e prudenza, non scivolando mai nel melodramma o nel melenso, ma descrivendo la traiettoria padre-figlio in maniera credibile e composta, toccante. Si veda la scena finale, sussurrata, di grande raffinatezza. Ottimi gli interpreti, a partire da Zingaretti e Gianmarco Franchini. Bene anche i comprimari Federico Tocci, Chiara Celotto, Alessio Moneta, Riccardo Lai e Filippo Tirabassi. Complesso, problematico, per dibattiti.

“Il ragazzo dai pantaloni rosa”

Tra tenerezza e bruciante dolore. Si muove su tale binario il film “Il ragazzo dai pantaloni rosa” di Margherita Ferri, che racconta la storia vera di Andrea Spezzacatena, morto suicida nel 2012 a soli 15 anni, perseguitato da offese e calunnie tra banchi di scuola e pagine dei social. Una vittima di cyberbullismo, che ha dato vita a un movimento di sensibilizzazione portato avanti dalla madre Teresa Manes, che ha scritto un libro e si è spesa negli anni perché tragedie simili non riaccadano. Protagonisti Claudia Pandolfi, Samuele Carrino, Sara Ciocca, Andrea Arru e Corrado Fortuna. Il copione è firmato da Roberto Proia, una produzione Eagle Pictures e Weekend Film, nelle sale dal 7 novembre.

La storia. Roma, Andrea è un adolescente brillante, il più bravo della scuola, amatissimo in famiglia e con un talento canoro fuori dal comune. Questo lo porta a vincere una borsa di studio e a entrare in una scuola prestigiosa, dove con il coro si esibirà anche davanti al Papa. Tutto sembra filare liscio, finché Andrea non si imbatte in un ragazzo ripetente affascinante e glaciale, che prima lo tratta da amico e poi inizia a deriderlo, avviando la macchina del fango fino a innescare ripetuti episodi di bullismo. Le cose non migliorano quando Andrea si presenta a scuola con pantaloni rosa e smalto nero alle unghie. L’umiliazione si fa sempre più assordante…

“Ho cercato di lavorare con gli attori – ha spiegato la regista – per creare personaggi tridimensionali, sfaccettati, che non fossero dogmaticamente divisi in ‘buoni e cattivi’ nel tentativo di realizzare un film che possa parlare sia ai bulli sia alle vittime”. È chiaro il perimetro de “Il ragazzo dai pantaloni rosa”: cronaca del dolore, ma anche aperture di vita e speranza, quella che Andrea Spezzacane non ha potuto cogliere appieno ma che il suo ricordo, il suo pesante lascito, invitano a fare. Il film, infatti, è giocato su tonalità solari e ombrose, ossia la gamma di colori accesi e contrastanti che popolano il mondo dell’adolescenza; un racconto che vuole unire insieme denuncia e dialogo. La storia di Andrea è simbolo di una società adulta distratta da mille occorrenze, che trascura le giovani generazioni, in balia di solitudine e di casse di risonanza social fuorvianti. Andrea era un ragazzo di appena quindici anni, pieno di possibilità, che è rimasto schiacciato dal peso di una crudeltà perpetrata dai suoi pari. Il film di Margherita Ferri non è perfetto, composto qua e là da soluzioni narrative semplici e un po’ ingenue, ma nell’insieme è un racconto onesto, importante ed educativo. Tratteggia le fragilità esistenziali dove è centrale la custodia e il dialogo familiare, ma anche il patto fiduciario con l’istituzione scolastica. Un film che corre veloce, caldo, delicato e torrenziale, mosso da un desiderio di denuncia e condivisione, affinché storie come quelle di Andrea non si ripetano. Consigliabile, problematico, per dibattiti.

La Legge Di Lidia Poët. (L to R) Matilda De Angelis as Lidia Poet, Gianmarco Saurino as Fourneau in episode 203 of La Legge Di Lidia Poët. Cr. Lilia Carlone/Netflix © 2024

“La legge di Lidia Poët 2”

Dopo il successo raccolto nel 2023, torna la serie di matrice storico-investigativa “La legge di Lidia Poët”, ispirata alla prima donna a laurearsi e a entrare nell’Ordine degli avvocati nell’Italia di fine ‘800. A vestire i suoi panni la sempre più brava Matilda De Angelis, affiancata da Eduardo Scarpetta e Gianmarco Saurino (novità nel cast). A capo del progetto c’è Matteo Rovere con la sua Groenlandia; la regia è condivisa con Letizia Lamartire e Pippo Mezzapesa. Su Netflix dal 30 ottobre.

La storia. Lidia Poët ha la strada sbarrata dall’Ordine degli avvocati e dalla politica, semplicemente perché donna e per il suo temperamento insofferente alle regole sociali. Con il fratello Enrico continua a muoversi in aule di tribunale, investigando poi su intricati casi di omicidi con il giornalista Jacopo Barberis. A complicare il quadro l’arrivo del nuovo procuratore Fourneau…

Dalla visione in anteprima di alcuni episodi, la serie “La legge di Lidia Poët 2” si conferma un divertissement per gli amanti del genere giallo-crime, per i fedelissimi delle atmosfere alla Sherlock Holmes ma con un twist di narrazione pop che richiama “Enola Holmes” (sempre su Netflix). Lidia Poët è un’eroina di fine XIX secolo che si batte contro i tabù sociali, le restrizioni imposte alle donne sul lavoro e in famiglia, paladina di una vita libera e senza legami. La narrazione è frizzante, colorata seppur impastata di noir, e anche un po’ furba, con forzature narrative e licenze che fanno da gancio al nostro presente. Serie consigliabile-complessa, problematica.

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