Tendenza streaming. Questa settimana il punto Cnvf-Sir si occupa di alcuni titoli in evidenza sulle principali piattaforme: anzitutto la serie crime con striature malinconico-ironiche “Monterossi” (Prime Video), diretta da Roan Johnson con Fabrizio Bentivoglio. Sempre su Amazon c’è il documentario “Federica Pellegrini. Underwater”, racconto introspettivo e sportivo di una leggendaria campionessa nella sua volata verso la sua quinta e ultima olimpiade. Infine, bilancio su “And Just Like That…” (Sky-Now), revival di “Sex and the City”.
“Monterossi” (Prime video)
Alla Palomar crime e poliziesco sono di casa. In questo sono assolutamente maestri, e si nota. La casa di produzione di riuscite serie quali “Maltese”, “I delitti del BarLume” e “Màkari”, ma soprattutto del cult “Il commissario Montalbano”, ha realizzato per Prime Video “Monterossi”, 6 episodi tratti dai romanzi di Alessandro Robecchi. Alla regia c’è il brillante Roan Johnson – suoi sono i film “Fino a qui tutto bene” (2014), “Piuma” (2016) come pure gli adattamenti Tv dei romanzi storici di Andrea Camilleri per il ciclo “C’era una volta Vigata” (2018-20) –, che si è appassionato ai racconti di Robecchi e a quel suo protagonista Carlo Monterossi, un riluttante autore Tv di successo, colto e raffinato, amante di Bob Dylan, dall’autoironia ammaliante. A seguito di strane circostanze Monterossi incontra le vie del crimine, e si ritrova suo malgrado a fare da detective tra le strade di Milano e dintorni. Un investigatore improvvisato che si muove accanto alla Polizia, con cui va d’accordo a corrente alternata. Gli episodi portano sullo schermo i romanzi “Questa non è una canzone d’amore” e “Di rabbia e di vento”.
Se Roan Johnson (anche sceneggiatore con Davide Lantieri e lo stesso Robecchi) convince per la sua regia ricercata, fumosa, marcata da tensione e da lampi di umorismo sagace, a dare sostanza e amalgama al tutto è Fabrizio Bentivoglio. L’attore sagoma infatti Carlo Monterossi con grande raffinatezza e divertimento, in ogni suo sguardo spaesato o stropicciato. Bentivoglio è di certo Monterossi, non ci sono dubbi. E lo dice espressamente anche il regista: “c’era solo un attore (…) che poteva avere quello sguardo beffardo ma caldo, malinconico ma curioso, severo ma ironico: Fabrizio Bentivoglio”. E pazienza se a volte la narrazione appare incedere con lentezza o se alcune svolte narrative risultano poco convincenti: la forza di “Monterossi” risiede nello stile di regia di Roan Johnson e nell’interpretazione cult di Bentivoglio, assolutamente magnetica, da applausi. Dal punto di vista pastorale “Monterossi” è complessa, problematica e per dibattiti, indicata per un pubblico adulto.
“Federica Pellegrini. Underwater” (Prime Video)
Sulle prime il documentario “Federica Pellegrini. Underwater” diretto da Sara Ristori appare un po’ scontato, persino prevedibile, presentandosi come l’ennesimo racconto di un grande campione sportivo entrato nella storia e osannato dai media. Addentrandosi poi nelle pieghe dell’opera si scopre la sua forza e originalità. Una potenza riconducibile proprio a lei, Federica Pellegrini, la “divina”, l’“araba fenice”, che si racconta con onestà e autenticità, nella sua lunga marcia verso Tokyo 2020, Olimpiadi disputate nel 2021 a causa della pandemia. Nel film la Pellegrini, i suoi genitori Cinzia e Roberto così come il suo allenatore Matteo Giunta si mostrano senza filtri, superando la propria naturale riservatezza, rivelando emozioni nascoste e i ricordi di oltre vent’anni di attività.
Federica Pellegrini non è solo una campionessa italiana, ma un’eccellenza sportiva internazionale: a tutt’oggi detiene il record mondiale nei 200m stile libero, in prima linea in ben 5 edizioni olimpiche dove ha ottenuto l’Argento ad Atene nel 2004 e l’Oro a Pechino nel 2008. La Pellegrini è l’unica italiana ad aver infranto il record del mondo in più di una specialità, toccando il suo vertice ai Mondiali di Roma nel 2009, Oro nei 200m e nei 400m stile libero. Accanto a lei in quegli anni il compianto allenatore Alberto Castagnetti, quasi un genitore aggiunto, la cui prematura scomparsa ha destabilizzato non poco la nostra campionessa.
Nel corso del doc si alternano la preparazione per Tokyo, tra allenamenti in Italia, Stati Uniti e qualificazioni, con le imprese del passato, i primi successi all’età di 15 anni con il primo record del mondo; nel racconto figurano anche le fragilità di una giovane donna, il rapporto con il corpo, lo sbandamento nella bulimia, ma soprattutto i continui riscatti proprio come una fenice, quella tatuata sul collo, e poi il quotidiano fatto di abbracci con i familiari e l’intesa sportiva e sentimentale con Matteo Giunta. Insomma, il doc “Federica Pellegrini. Underwater” sebbene parta incerto poi vola al seguito della potente bracciata della nuotatrice, della sua forza e luminosità, di quelle sue imprese che fanno sussultare ed esultare ancora, sebbene siano ormai storia. Il documentario è consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
“And Just Like That…” (Sky-Now)
Darren Star, noto sceneggiatore e produttore statunitense, ha firmato una delle reunion più attese del 2021-22: parliamo di “And Just Like That…” (HBO), non un documentario celebrativo ma una vera e propria serie (10 episodi da 30’) chiamata a raccontare, quasi vent’anni dopo, le protagoniste di “Sex and the City”. Era il 2004, infatti, quando calava il sipario sull’innovativa (a livello di linguaggio-narrazione) e discussa (per i temi) serie ispirata ai racconti di Candace Bushnell. A distanza di quasi due decenni, con un mondo televisivo totalmente stravolto a livello fruitivo con le piattaforme nonché per le mutate formule narrative – si veda il rivoluzionario “Il Trono di Spade” –, ecco ritornare le amiche di sempre, Carrie (Sarah Jessica Parker), Miranda (Cynthia Nixon) e Charlotte (Kristin Davis), orfane di Samantha (all’appello manca Kim Cattrall, anche se il suo personaggio aleggia in maniera acuta e curiosa per tutto il sequel). Le tre donne, ormai cinquantenni, sono chiamate a fare i conti con una stagione diversa della propria esistenza, con progetti cambiati dal corso imprevedibile della vita, pronte a interrogarsi sul proprio domani personale e professionale.
“And Just Like That…” non ha di certo la carica stilistica e la densità tematica-problematica dell’originaria “Sex and the City”, ma trova una sua dignità narrativa. Partendo dal fatto che è sempre un racconto a stelle e strisce, centrato nell’orizzonte newyorkese upper class, la serie trova il suo lato più riuscito e interessante nel ritratto di cinquantenni che provano a guardarsi allo specchio e a interrogarsi su di sé: se sono soddisfatte dei propri lavori, dei propri legami, se si sentono adeguate come madri, e se c’è ancora qualcosa da realizzare.
Tema in rilievo, insieme alla maturità anagrafica, è anche il rapporto con la morte, la sua inevitabile presenza. Come in “After Life” di Ricky Gervais, anche qui le protagoniste riflettono sulla morte ma non lasciano a essa l’ultima parola. C’è un passaggio chiave nell’ultimo episodio: Miranda interroga stupita Carrie sull’aldilà, domandandole se davvero ci creda; e Carrie, come del resto Charlotte, afferma di sì, che ha bisogno di credere nella vita oltre il confine della morte, un luogo dove potersi ricongiungere con i propri cari.
Senza voler entrare in merito a riflessioni su società, identità e sessualità, tratti per certi versi caratterizzanti (anche in maniera problematica) della serie Tv, “And Just Like That…” coinvolge per questa riflessione sulla donna al crocevia di un’età più matura, che vede le rughe farsi avanti, ma che al contempo non ha paura di affrontare il domani, anche con una certa leggerezza. Aspetto che funziona al di là di debolezze sistemiche-narrative e di episodi vacui sorretti solo da splendide vedute newyorkesi e da abiti scintillanti. “And Just Like That…”, adatta a un solo pubblico adulto, è una serie complessa, problematica e per dibattiti.
Articolo disponibile anche sul portale dell’Agenzia SIR