Tutto si gioca sul rapporto padre-figlio, e madre-figlia. Tra fantascienza, futuro distopico, disaster movie oppure animazione coloratissima che corre sul binario del fantastico, filo rosso di tre titoli forti di marzo è indubbiamente il dialogo in famiglia. Anzitutto al cinema il catastrofico “Moonfall” di Roland Emmerich con Halle Berry e Patrick Wilson, eroica impresa di tre astronauti sulla Luna per salvare la Terra. Su Netflix c’è “The Adam Project” di Shawn Levy con Ryan Reynolds, Mark Ruffalo e Jennifer Garner, avventuroso e brillante viaggio nel tempo, e nelle relazioni familiari. Infine, su Disney+ il cartoon “Red” di Domee Shi, le (dis)avventure di una tredicenne in conflitto con la madre. Il punto Cnvf-Sir.
“Moonfall” (al cinema)
Un regista da cinema spettacolare, abile nel coniugare fantascienza e scenari catastrofici. È Roland Emmerich, tedesco classe 1955, che è divenuto di fatto statunitense d’adozione, di casa a Hollywood. Suoi sono film diventati cult del genere come “Stargate” (1994), “Independence Day” (1996) e “The Day After Tomorrow” (2004). E il suo ultimo titolo, “Moonfall”, nelle sale italiane dal 17 marzo, è perfettamente in linea con la sua filmografia. La storia. Stati Uniti oggi, una serie di calamità iniziano a verificarsi sulla Terra. Grazie all’intuizione di un nerd appassionato di astrofisica, K.C. Houseman (John Bradley), la Nasa scopre che c’è un problema: la Luna sta perdendo la sua orbita ed è in rotta di collisione con il nostro pianeta. Panico, smarrimenti, lampi di anarchia assalgono la Terra, mentre due astronauti di lungo corso, Jocinda Fowler (Halle Barry) e Brain Harper (Patrick Wilson), accettano per una missione disperata: tornare sulla Luna per rimetterla in asse…
Nell’accostarsi al film è importante ricordare lo stile narrativo del regista Emmerich e il genere di appartenenza. Detto questo, “Moonfall” è un film che si muove su un copione ad alta adrenalina, composto da scene sconvolgenti e suggestive, il racconto del nostro pianeta al crocevia dell’implosione e al contempo un nuovo, avvincente, sguardo ravvicinato sulla Luna. Il regista ha voluto recuperare il fascino della missione dell’Apollo 11 del 1969, il primo allunaggio, inserendo inoltre quelle teorie sul suo lato oscuro. “C’è chi crede – afferma Emmerich – che la Luna non sia un oggetto naturale”. E la sceneggiatura, firmata dallo stesso regista insieme a Harald Kloser e Spenser Cohen, percorre proprio questo sentiero.
Aspetto che entra poi nella partita del racconto è il rapporto padre-figlio, quello tra l’astronauta reietto Brain Harper, caduto in disgrazia dopo un incidente nello Spazio, e suo figlio diciottenne Sonny (Charlie Plummer), che vive un momento di accesa ribellione, un bisognoso in verità di ritrovare il contatto paterno, il dialogo interrotto. Nel complesso “Moonfall” oscilla tra spettacolarizzazioni riuscite e sequenze stiracchiate, che incespicano a volte tra la cartolina patinata e inserti ironici spesso stonati. Bene comunque gli attori, in testa Halle Berry e Patrick Wilson, come pure John Bradley, star di “Game of Thrones” in cerca di nuova vita sullo schermo, senza dimenticare l’affascinante incursione di un inappuntabile Donald Sutherland. “Moonfall” è un film di genere, spettacolare, interessante e un po’ fracassone, che dal punto di vista pastorale è consigliabile, problematico-semplice.
“The Adam Project” (Netflix)
Che bella sorpresa “The Adam Project”! Netflix ha puntato in alto, sposando l’idea del regista-produttore canadese Shawn Levy, classe 1968, autore di riuscite commedie come il ciclo “Una notte al museo” (2006-14), il recente “Free Guy. Eroe per gioco” (2021) e di alcuni episodi della serie cult “Stranger Things” (dal 2016). “The Adam Project” è un film che fonde atmosfere cinematografiche anni ’80 con la potenza visiva degli effetti speciali odierni, mettendo in racconto una storia familiare, il bisogno di ritrovare la tenerezza del rapporto padre-figlio, arrestata bruscamente dalla perdita, da un lutto; una sofferenza bruciante che segna la vita, offuscando il dialogo e persino la custodia dei ricordi condivisi.
La storia. Stati Uniti 2050, Adam (Ryan Reynolds) è un pilota d’aviazione, braccato dai suoi ex colleghi per aver disatteso degli ordini. Riesce a fare dei salti temporali, grazie a un’invenzione messa a punto decenni prima dal padre Louis (Mark Ruffalo), scienziato scomparso prematuramente. Adam torna nel 2022, dove conosce il suo sé adolescente, l’Adam dodicenne (Walker Scobell). Suo vero obiettivo è però per l’anno 2018, poco prima della morte del padre, che Adam vorrebbe convincere a non portare a termine l’invenzione della macchina del tempo, che ha di fatto rovinato la vita sulla Terra.
“The Adam Project” è un racconto che gira alla perfezione, tra una riuscita messa in campo di effetti speciali accurati e una sceneggiatura serrata, agile, avventurosa, condita da lampi di umorismo brillante che strizza l’occhio a un pubblico familiare; ancora, a imprimere forza e fascino alla storia sono attori abili nel vestire i personaggi con credibilità e divertimento: in testa Ryan Reynolds, che con il regista Levy ha lavorato nel successo “Free Guy”, come pure i sempre efficaci Mark Ruffalo e Jennifer Garner. Da rimarcare il talento del giovane Walker Scobell. L’aspetto che però piace di più di “The Adam Project” è questo suo farsi metafora fantastica di una pagina familiare, il bisogno di ritrovare se stessi e le proprie radici, il dialogo interrotto con il proprio padre o la propria madre, deragliato per gli inciampi della vita, per le insidie della morte. Se la cifra del racconto è spettacolare e avventurosa, il suo cuore narrativo è denso di senso e tenerezza, un riannodare i fili dispersi della memoria familiare. “The Adam Project” è consigliabile, semplice e adatto per dibattiti.
“Red” (Disney+)
Alla Disney-Pixar non sbagliano un colpo. Con “Red” (“Turning Red”), animazione scritta e diretta dalla regista Domee Shi, Premio Oscar per il cortometraggio animato “Bao” (2018), qui al suo esordio nel lungometraggio, ci racconta sogni e sentimenti della tredicenne Meilin Lee, di famiglia cinese che vive a Toronto. La storia. Meilin “Mei” sente molto il condizionamento materno – la madre Ming è ossessionata dal controllo, mentre il padre Jin preferisce un ruolo defilato, da osservatore –, soprattutto nella scelta delle proprie amicizie. Infatti, le sue tre amiche del cuore, Miriam, Priya e Abby, con cui condivide la passione per la boy band 4*Town, non vanno proprio a genio in famiglia. La situazione scappa di mano quando Mei, dopo una forte emozione, si trasforma in un grosso panda rosso, scoprendo così una magica tradizione di famiglia…
Cuore narrativo dell’animazione “Red” è la ricerca di sé, della propria voce, all’interno del tessuto familiare, un ricalibrare ascolto e dialogo tra genitori-figli. Come indica la stessa regista: “Volevo esplorare in modo approfondito i conflitti di una giovane ragazza adolescente. Il modo in cui è combattuta tra il rimanere una figlia disciplinata e accettare la propria natura caotica”. “Red” ci porta dunque all’interno delle maglie di una famiglia cinese che ha trovato fortuna in Canada, una famiglia che prova a custodire le proprie tradizioni e identità culturali nel non facile percorso di integrazione. E se gli slanci dei genitori oscillano tra apprensione e desiderio di protezione verso la figlia, la giovane Mei vive il suo ingresso nell’adolescenza in maniera del tutto effervescente, desiderosa di far parte di un Noi tra la comunità di amici e compagni di scuola; Mei vuole integrarsi nel contesto in cui vive, senza tradire se stessa o i propri cari. Il cartoon “Red” possiede indubbio ritmo, tensione narrativa e capacità di coniugare il fantastico con uno sguardo realistico, tra sfide familiari e sociali. Anche se non privo di qualche sbavatura o incertezza narrativa, “Red” è un’animazione riuscita, che conquista con immediatezza e acuta sensibilità. “Red” è consigliabile, brillante e per dibattiti.