Ricorda molto “Indiana Jones”, ma non solo. È l’action-avventuroso “Uncharted” diretto da Ruben Fleischer con Tom Holland, Mark Wahlberg e Antonio Banderas. Adattamento dell’omonimo videogame PlayStation Sony. È su Netflix dal 14 febbraio la miniserie “Fedeltà” diretta da Andrea Molaioli e Stefano Cipani, dal romanzo di Marco Missiroli. Protagonisti Michele Riondino e Lucrezia Guidone. Il punto Cnvf-Sir.
“Uncharted” (al cinema)
Sarà un’indubbia attrazione per il pubblico in sala, e non solo per la star in ascesa Tom Holland, fresco trionfatore al box office con “Spider-Man: No Way Home” (in poco più di due mesi ha raggiunto l’incasso di quasi 2miliardi di dollari). Parliamo di “Uncharted”, film ad alto budget che sbarca nelle sale italiane dal 17 febbraio, un racconto avventuroso che corre lungo il binario di classici come “Indiana Jones” (dal 1981) e “I Goonies” (1985), con raccordi anche a “Mission: Impossible” (dal 1996), “Pirati dei Caraibi” (2003-17) e “Il mistero dei Templari” (2004).
Diretto dal regista di “Venom”, Ruben Fleischer, “Uncharted” porta sul grande schermo il primo capitolo dell’omonima saga di videogiochi targata PlayStation Sony. La storia: Stati Uniti oggi, Nathan Drake (Tom Holland) è un ventenne che lavora come barman, ma in verità è specializzato in furti di opere d’arte. Suo obiettivo sono i tesori nascosti dispersi nelle rotte del tempo, passione che lo lega al fratello maggiore Sam. Nathan viene assoldato dal cercatore di fortune Victor “Sully” Sullivan (Mark Wahlberg), desideroso di rintracciare le navi di Magellano. Un viaggio tra Stati Uniti, Europa (Barcellona) e Asia, una corsa serrata sfidando le ambizioni spregiudicate del milionario Santiago Moncada (Antonio Banderas) e della sua spietata assistente Braddock (Tati Gabrielle).
Gli elementi per il successo ci sono tutti. Anzitutto una regia solida e vigorosa, capace di unire alla tensione narrativa, alle scene mozzafiato, anche lampi di ironia brillante, affidata soprattutto al duetto Tom Holland e Mark Wahlberg, che richiamano quello spirito ironico-sagace alla “Indiana Jones e l’ultima crociata” (1989), gli alterchi tra Indy e il padre Henry Jones: memorabile la sintonia tra Harrison Ford e Sean Connery! Qui in “Uncharted” il livello è diverso, ma le intenzioni vanno in tale direzione.
Inoltre, funzionano bene i protagonisti. Mark Wahlberg è un veterano a Hollywood, soprattutto tra commedie e action, pertanto il film “Uncharted” è un terreno a lui congeniale dove mettere in campo con efficacia le sue abilità interpretative. Stupisce sempre di più Tom Holland, attore britannico classe 1996 che ha esordito dodicenne a West End nel musical “Billy Elliot” e poi si è imposto a livello globale grazie al personaggio di Peter Paker/Spider-Man; Holland è probabilmente alla ricerca di un consolidamento nel firmamento hollywoodiano, e i numeri (gli incassi) sono dalla sua parte. Ha chiara stoffa e talento, e “Uncharted” ne è la conferma.
Nel complesso il film è una perfetta macchina narrativa votata all’evasione, al divertimento adrenalinico, capace di coinvolgere giovani e adulti per una visione familiare. Un racconto vibrante, a tratti brillante, con una tensione compatta sino alla fine. Dal punto di vista pastorale “Uncharted” è consigliabile e semplice.
“Fedeltà” (su Netflix)
Tratta dall’omonimo romanzo di Marco Missiroli, finalista al 73° Premio Strega e vincitore del Premio Strega Giovani, la miniserie “Fedeltà” (6 episodi) è una nuova produzione italiana in accordo con la piattaforma Netflix. Targata BiBi Film e con la regia di Andrea Molaioli (“La ragazza del lago”, “Il gioiellino” e “Bella da morire”) e Stefano Cipani (“Mio fratello rincorre i dinosauri”), “Fedeltà” vede come protagonisti Michele Riondino e Lucrezia Guidone.
La storia: Milano oggi, Carlo Pentecoste è uno scrittore quarantenne, autore di un romanzo di successo, che insegna in una nota scuola di scrittura a Milano. È sposato con Margherita, architetto che rinunciato ai suoi sogni come arredatrice di interni per una vita più tranquilla come agente immobiliare. Il sospetto di uno sbandamento del marito Carlo per una studentessa ventenne, innesca tensione nella coppia, che inizia a deragliare in una sequela di inciampi.
Non è mai facile portare un romanzo sullo schermo, soprattutto se il libro è molto popolare o amato. È questo infatti il caso dell’opera di Missiroli, che viene declinata come miniserie da Alessandro Fabbri, Elisa Amoruso e Laura Colella. Un’operazione valida e quasi del tutto riuscita.
Anzitutto, colpisce la cura formale della miniserie, la regia di Molaioli e Cipani, che valorizzano l’ambiente urbano di Milano e gli interni in cui si svolge l’azione, mostrati con deciso gusto e con un’atmosfera ricercata, avvolgente. Funziona bene poi la tensione sentimentale tra Michele Riondino e Lucrezia Guidone, bravi e intensi nello scolpire i personaggi, nel dare sfogo alle loro insicurezze e inquietudini, nel tratteggiare un rapporto di coppia solido ma al contempo pronto a frantumarsi al primo sospetto. Un deragliare che però non è irreparabile o irrecuperabile, bensì si mostra come uno stallo esistenziale dei coniugi legato all’incapacità di essere pienamente risolti prima nell’Io e poi nel Noi.
Carlo e Margherita si amano, si comprendono, si leggono dentro, ma questo non basta a mettere in sicurezza il loro amore, la loro stabilità di coppia. Amplificano le proprie insoddisfazioni esistenziali: lui, con il blocco dello scrittore dopo un romanzo folgorante, ammaliato da una giovane autrice dalla prosa incandescente; lei, che ha messo da parte se stessa, protesa a custodire l’amore, la stabilità relazionale, con quello scrittore di talento, verso il quale si rivolge quasi con devozione. Basta poco però, solo il sospetto di un bacio, a far saltare tutto, con una forza distruttrice che irrompe come un geyser.
Carlo e Margherita offrono di certo una fotografia della contemporaneità, ma non ne sono però il paradigma. Come osserva Gilfredo Marengo, ordinario di Antropologia teologica al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, il romanzo “‘Fedeltà’ racconta una storia senza che i personaggi diventino delle tesi o delle maschere di un’idea”.
La miniserie “Fedeltà” pedina un rapporto di coppia al crocevia della maturità sentimentale, che sembrerebbe però non superare lo scalino delle difficoltà, spiaggiandosi rovinosamente. Come rimarca lo stesso Molaioli, la serie intercetta “un sentimento spaventoso quanto seducente: il desiderio del caos in luogo della stasi. L’attrazione per il precipizio”. Una caduta osservata però senza giudizio, che appare a ben vedere quasi “catartica” per recuperare la verità, l’autenticità, in primis con il proprio Io e poi forse per riparare il Noi. Se convincono regia e attori protagonisti, sembrano tenere il passo meno bene le storie e i personaggi secondari, riconducibili ai tradimenti. Alcuni dialoghi o soluzioni narrativi risultano un po’ convenzionali, a tratti accompagnate o claudicanti. Nell’insieme, nella miniserie “Fedeltà” si coglie uno sforzo produttivo significativo, un racconto italiano in cerca di un respiro internazionale, anche grazie a Netflix.
Al di là di qualche sbavatura qua e là, “Fedeltà” convince sotto il profilo stilistico e narrativo, proponendosi come radiografia di un’insofferenza di coppia pronta a perdersi per rinascere. E magari ritrovarsi. “Fedeltà” è una serie complessa, problematica e per dibattiti, indicata per un pubblico adulto.
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