“Omicidio all’italiana” di Maccio Capatonda nel ciclo di film proposto da Ucs e Cnvf per la 52a Giornata delle comunicazioni sociali
“La disinformazione si basa spesso su discorsi variegati, volutamente evasivi e sottilmente ingannevoli, e si avvale talvolta di meccanismi raffinati. […] Da smascherare c’è […] quella che si potrebbe definire come ‘logica del serpente’, capace ovunque di camuffarsi e di mordere”. Papa Francesco, per la 52a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, mette in guardia i comunicatori e la comunità tutta dalla logica del serpente, dalla falsità delle notizie e dalle derive del cattivo giornalismo. Come ottavo film proposto dall’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali e dalla Commissione nazionale valutazione film della Cei per il ciclo dedicato alla Giornata delle comunicazioni c’è “Omicidio all’italiana” di e con Maccio Capatonda, opera che si concentra proprio su tali tematiche sottolineate dal Papa. Un film che rimarca e deride il giornalismo improvvisato e superficiale che spettacolarizza ogni avvenimento pur di trovare una cassa di risonanza; ma che ridicolizza anche un pubblico pronto a farsi sedurre dalle sirene del voyerismo.
La comicità irriverente di Capatonda contro la “logica del serpente”
La sua comicità è molto conosciuta nel pubblico giovane, nei cosiddetti “Millennials” o “Generazione Z”. Maccio Capatonda – vero nome è Marcello Macchia, classe 1978 – ha trovato diffusa popolarità all’inizio della sua carriera nel piccolo schermo, in televisione, con la sua carica comica di taglio grottesco, attraverso diverse maschere che ironizzano sulla società italiana di oggi. Approdato poi al cinema con “Italiano medio” nel 2015, film da lui interpretato e diretto, ottiene consenso di critica e di pubblico con la sua seconda regia, “Omicidio all’italiana”, uscito nel marzo del 2017. Capatonda tratteggia infatti una fotografia dell’informazione oggi, della cronaca nera divenuta regina dei palinsesti televisivi. La sua è una riflessione critica e graffiante su come spesso si assista allo smarrimento del giornalismo e dei codici deontologici della professione per rincorrere qualche punto share e spazi in prime time. La storia: una donna anziana benestante muore improvvisamente in un piccolo paese dell’Abruzzo, Acitrullo. Il sindaco coglie questa imprevista opportunità per inscenare un misterioso omicidio. È l’inizio così di un viavai continuo di cronisti e operatori video sul territorio, in cerca di prove e di possibili responsabili. Ancora, molti turisti affollando le vie del paese, attratti dall’omicidio spettacolarizzato.
Maccio Capatonda convince in questa sua seconda regia, con un racconto semplice ma denso di provocazioni e umorismo. Il piccolo paese abruzzese, luogo-set del presunto omicidio, non è altro che lo specchio sociale di un giornalismo smarrito e di uno spettatore dedito all’esaltazione del macabro e alla superficialità. Capatonda non racconta ovviamente l’Italia tutta, bensì quella parte di società che si spinge in maniera preoccupante verso l’edonismo e la cultura dello scarto; che non esita a mercificare su una morte, se in palio c’è profitto.
Il regista, con la sua bruciante ironia, mette a nudo quei comunicatori pronti a tutto per vedere il pezzo e per schizzare alla ribalta della piccolo mondo televisivo, dove la curva dello share è tutto. Qual è dunque il limite ultimo tra cronaca e spettacolo? È questo l’interrogativo che Capatonda si/ci pone, muovendosi con uno stile comico fresco, a tratti grottesco o persino urticante. Nel cast si inseriscono bene attori dalla vis comica nuova o consolidata: da Herbert Ballerina, Gigio Morra e Fabrizio Biggio ai più conosciuti Sabrina Ferilli, Nino Frassica e Ninni Bruschetta.
È una piccola sorpresa questo film uscito quasi in sordina nel 2017, ma dalla capacità di saper cogliere un nervo scoperto della società e della professione giornalistica oggi, un tema posto al centro della riflessione comune grazie al Messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale delle comunicazioni. “Omicidio all’italiana”, seppur lineare e dalla svolgimento prevedibile sotto il profilo narrativo, trova un’eco forte per il suo confrontarsi con una chiave originale su aspetti complessi, come le fake news e le responsabilità della comunicazione. Un modo probabilmente adatto per agganciare un pubblico giovane, quello di Maccio Capatonda, a volte stanco e disinteressato nei confronti di tali argomenti.
Valutazione pastorale della Commissione film Cei
Più il paese è piccolo, più il fatto che vi succede ha ottime possibilità di farne risaltare l’anomalia, l’eccezionalità e di ingigantirne gli effetti. Su questo presupposto, tanto semplice quanto capace di restare nascosto, si muove questo copione, che i “nuovi” comici di recente affermazione Capatonda e Ballerina organizzano nell’ottica di un accadimento a metà tra ironia e paradosso. Interessa fare emergere la crescita di un fenomeno tanto antico quanto ancora in evoluzione. Così quella di un omicidio misterioso e non decifrabile diventa una notizia capace di smuovere le acque, di attirare turisti, di far emergere una curiosità morbosa e senza vergogna. Si crea una situazione che stimola in ciascuno il peggio di sé, l’impulso a esibirsi e a mettersi in mostra, a essere protagonisti e attori di una qualcosa che si vede in televisione e quindi solo per quello offre visibilità e, magari, successo. Tutto il resto è tarato di conseguenza. Anche gli errori, la scoperta di essere caduti in trappola, il ridicolo della vergogna, non servono. Il rumore che si muove vale più di qualche infortunio, tanto lo spettacolo “va avanti”. I protagonisti si muovono con passo incisivo e sicuro tra ironia, sberleffi, sarcasmo. Funzionano gli attori, e quella lingua confusa e impastata che si sforzano di parlare, è azzeccato il disegno di un paese povero e abbandonato, tuttavia pieno di risorse e in grado di muoversi tra comicità e presa in giro velenosa. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile e brillante.
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