Siamo al quinto giorno di proiezioni alla 14a Festa del Cinema di Roma. Il programma di lunedì 21 ottobre all’Auditorium Parco della Musica ruota quasi tutto attorno al film di Martin Scorsese “The Irishman”. Ancora, tra le proiezioni della domenica 20 ottobre, si segnalano il francese “La belle époque” di Nicolas Bedos con Fanny Ardant e Daniel Auteuil e due opere incentrate sulla figura del padre, i problematici “Honey Boy” di Alma Har’el con Shia LaBeouf e “Il ladro dei giorni” di Guido Lombardi con Riccardo Scamarcio.
“The Irishman”
È senza dubbio il film più atteso della Festa del Cinema di Roma 2019. Parliamo di “The Irishman” di Martin Scorsese, adattamento dell’omonimo libro di Charles Brandt e ispirato alla figura del malavitoso Frank Sheeran. Con questo progetto targato Netflix – il film arriverà in sala e sulla piattaforma streaming a novembre –, Scorsese coinvolge un gruppo di attori-amici di lungo corso come Robert De Niro, Joe Pesci e Al Pacino. I temi sono quelli cari al regista di New York: ascesa e dinamiche della malavita organizzata, delle mafia di matrice italiana, con sparatorie crude e serrate, ma anche graffiante umorismo nero. Dalla filmografia di Scorsese si possono richiamare sullo stesso tracciato: “Mean Streets” (1973), “Taxi Driver” (1976), “Toro scatenato” (1980), “Quei bravi ragazzi” (1990), “Gangs of New York” (2002) e “The Departed” (2006), che gli permette di vincere il suo primo Oscar come miglior regista.
Con “The Irishman” Scorsese firma un film epico, il raccolto dell’evoluzione della mafia statunitense dagli anni ’40 al 2000, attraverso la figura del gregario Frank (De Niro), che lavora al soldo del potente sindacalista Jimmy Hoffa (Pacino) e del capo clan Russell Bufalino (Pesci). È una discesa nel cuore della criminalità organizzata, attraverso un racconto asciutto, feroce e a tratti grottesco; Scorsese si serve stilisticamente di soluzioni in flashback e flash-forward, per muoversi agilmente nel corso dei sei decenni raccontati, citando anche eventi storici come la presidenza Kennedy, le inchieste giudiziarie condotte dal fratello Bobby così come le frizioni con Cuba all’inizio degli anni anni ’60.
Il film è imponente, dal respiro vigoroso e classico insieme. La messa in scena, poi, possiede grande fascino e coinvolgimento e la regia di Scorsese compone quadri metropolitani simili a tragedie shakespeariane. “The Irishman”, pertanto, dal punto di vista formale, di regia nonché per le interpretazioni, può essere un concreto rivale verso l’Oscar 2020 per “Joker” di Todd Phillips. Tra gli elementi di pregio dell’opera ci sono i raccordi finali quando vediamo ormai Frank e gli altri malavitosi sul viale del tramonto, momento in cui viene meno il “fascino del Male” e si leggono con chiarezza sui volti dei protagonisti le conseguenze di un’esistenza sregolata e improntata alla vendetta. Punto debole del film – e tratto tipico di Scorsese – è la sua eccessiva lunghezza, ben 209 minuti, che stronca il pathos del racconto. Peccato. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come complesso e problematico, con un’attenzione ai minori per le sparatorie violente ed esplicite.
“La belle époque”
Con una carriera di attore alle spalle, Nicolas Bedos firma la sua seconda regia con “La belle époque”, passato già fuori concorso al Festival di Cannes e ora sul tappeto rosso di Rom. Tre grandi star del cinema d’Oltralpe – Daniel Auteuil, Fanny Ardant e Guillaume Canet – danno brio e vigore alla storia proposta da Bedos: a Victor (Auteuil), sessantenne ridotto in uno stallo esistenziale e cacciato di casa dalla propria moglie, viene offerta la possibilità di rivivere per un intero giorno un momento del suo passato; un produttore infatti gli offre di ricostruire il set della sua vita ambientata nel maggio del 1974. Un racconto elegante e raffinato, in cui la cifra dominante è l’ironia intelligente unita al sottile gioco verità-finzione. Nel binario della storia trova ovviamente posto anche l’amore, un incontro mai dimenticato che ancora scalda il cuore del protagonista. Attori in grande forma per un copione curioso e ben governato. Dal punto di vista pastorale, il film è consigliabile, brillante e per dibattiti.
Il difficile rapporto padre-figlio: “Honey Boy” e “Il ladro di giorni”
Nella giornata di ieri, domenica 20 ottobre, due titoli si sono confrontati sullo stesso tema: la latitanza della figura paterna. Il primo titolo è lo statunitense “Honey Boy” della regista israeliana Alma Har’el, che attinge liberamente alla biografia dell’attore Shia LaBeouf, anche interprete del film. È l’avventurosa e sofferta vita del dodicenne Otis (Noah Jupe), star del piccolo schermo, che vive con un padre, James (LaBeouf), ex alcolista e dalla vita irregolare. Un andirivieni tra passato e presente, con sguardi sulla vita adulta di Otis (Lucas Hedges), sempre alle prese con i traumi infantili. Emergono tanta sofferenza e sbandamento, ma anche il bisogno di riconciliarsi con il proprio passato, con l’imperfezione dei propri genitori. Dal punto di vista pastorale l’opera è complessa, problematica e per dibattiti.
Il secondo titolo è l’italiano “Il ladro dei giorni” di Guido Lombardi, che adatta per il grande schermo il suo omonimo romanzo. Lombardi, classe 1975, ha vinto il Leone del Futuro alla 68a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia con “Là-bas. Educazione criminale”. Il tracciato rimane quasi il medesimo, ovvero un’esistenza giocata tra bene-male: il protagonista qui è un bambino di dieci anni, Salvo (Augusto Zazzaro), che ritrova all’improvviso il padre Vincenzo (Riccardo Scamarcio), uscito di galera dopo sette anni per rapina e sparatoria. Un incontro che spiazza, scoperchiando traumi del passato. Non tutto però vira in negativo, perché nel cuore del bambino si fa strada il bisogno di ritrovarsi con il proprio padre, di offrirgli una seconda opportunità. La via della delinquenza però non ammette sconti e entrambi sono chiamati a confrontarsi con le colpe del passato. Idea interessante, ma svolgimento fragile e poco convincente: il regista vuole dire molto, troppo, e sovraccarica il film facendolo sbandare. Dal punto di vista pastorale, “Il ladro dei giorni” è complesso, problematico e per dibattiti.
Articolo disponibile anche su Agenzia SIR
Allegati