Il film di McDonagh nel ciclo proposto da Ucs e Cnvf Cei per la 52a Giornata delle comunicazioni sociali
“La verità non è soltanto il portare alla luce cose oscure, «svelare la realtà» (…). La verità ha a che fare con la vita intera. Nella Bibbia, porta con sé i significati di sostegno, solidità, fiducia (…) La verità è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere”. È quanto ci ricorda papa Francesco nel 52° Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Una riflessione che sembra cogliere bene la suggestione che emerge dal film di Martin McDonagh, “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” (“Three Billboards Outside Ebbing, Missouri”), che racconta la disperazione di una madre in cerca di riscatto, di giustizia per sua figlia. Un ricerca sofferta che non si smarrisce nell’odio o rancore, bensì accoglie una timida, possibile speranza. L’opera è il secondo titolo scelto dall’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali e dalla Commissione nazionale valutazione film della Cei per il ciclo di 16 film dedicati alla Giornata delle mondiale delle comunicazioni.
“Tre manifesti a Ebbing, Missouri”, il coraggio di abbandonarsi alla fiducia
Passato in Concorso alla 74a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia e uscito nelle sale italiane dall’11 gennaio, il film “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” di Martin McDonagh è uno dei titoli forti della corsa ai premi Oscar 2018, cerimonia che si terrà domenica 4 marzo. Un film di certo non facile, di taglio problematico, perché scandaglia il dolore e la disperazione di una madre dinanzi alla violenza e all’uccisione della figlia; un delitto che però non trova colpevoli, ma solamente silenzi e omertà. Un film urlato, ruvido, aspro, ma capace di offrire un ritorno di senso nel percorso di maturazione della protagonista, che attraversa il male ma non si lascia contaminare da esso.
Veniamo alla storia: Mildred Haynes (Frances McDormand) è una donna sui cinquant’anni che vive nella cittadina di Ebbing nel Missouri, nel cuore rurale degli Stati Uniti. Ha perso sua figlia, vittima di un’aggressione con violenza. Ferita e provata dall’accaduto, Mildred è costretta a subire anche l’inerzia delle forze dell’ordine, incapaci di individuare i responsabili. Nessuno sa, nessuno ha visto nulla. Presa da rabbia e disperazione allora la donna decide di scrivere dei messaggi, delle domande, su tre cartelloni stradali subito fuori dalla cittadina di Ebbing. Riuscirà a scuotere le coscienze? A infrangere l’assordante silenzio?
Possiede una grande forza espressiva la sceneggiatura del film, firmata sempre dal regista Martin McDonagh, capace di alternare momenti bui, drammatici, con inserti di umorismo, che vira però verso il noir. “Il punto di partenza” – ha dichiarato McDonagh – “è molto triste, ma la storia è ricca di momenti comici e commoventi. Credo che sia questo il modo in cui vedo la vita. Vedo la tristezza, ma la mia tendenza è sempre quella di stemperarla con l’ottimismo, con l’umorismo, per quanto nero, e con la lotta contro la perdita della speranza”.
Aspetto centrale nella riuscita del racconto è l’interpretazione del personaggio di Mildred, affrontato con energia e sensibilità da una sempre brava Frances McDormand, così come dei due poliziotti incaricati delle indagini, dai profili meno luminosi ma ugualmente rilevanti, cui prestano il volto gli altrettanto bravi Woody Harrelson e Sam Rockwell. Tutti e tre gli attori sono candidati all’Oscar.
In particolare, però, rimane indelebile la figura di Mildred, che si muove sulla frontiera della disperazione, sola e incompresa nel suo dolore, urlando tutto il suo malessere. Quella che Mildred vede è una cittadina, un’umanità, disgregata e individualista, incapace di compassione e moti di coraggio, il coraggio di andare incontro alla verità. La donna così, per buona parte della narrazione, si lascia andare ad atteggiamenti anche sconvenienti, eccessivi, aggredendo le persone e amplificando tutta la sua rabbia. Ne esce fuori un percorso cieco e tortuoso. Ma alla fine fa il suo ingresso un raggio di luce, di flebile speranza: Mildred si sente svuotata sì, ma non al punto da abbandonarsi definitivamente all’odio. Capisce che odiare non può essere la sola soluzione possibile, pertanto inizia a incamminarsi sulla strada della riconciliazione con la vita. Un approdo, quello di Mildred, che offre allo spettatore – un pubblico adulto e consapevole – una prospettiva interessante sulla caduta e la risalita, sulla forza di opporsi al logoramento indotto dal male per guardare avanti, in cerca di un orizzonte di possibilità.
Valutazione pastorale della Commissione film Cei
Simili a cerchi concentrici, l’effetto dei tre manifesti che mettono alla berlina lo sceriffo di Ebbing a poco a poco si allarga fino a diventare incontrollabile. L’ostinazione di Mildred genera un vero e proprio terremoto di reazioni nella cittadina. E sono boati che fanno molto rumore, tanto male e fin troppe vittime. A un certo punto la violenza che insanguina le strade è così insistita da indurre la donna a cercare di capire dove la potrà condurre. E la scia di vendette forse si acquieta. Dopo “In Bruges”, 2008 e “7 psicopatici”, 2012, il regista McDonagh, inglese di nascita, fa centro con un nuovo meccanismo all’insegna di una implacabile esattezza narrativa. Giustamente premiato a Venezia 74 con il Leone per la migliore sceneggiatura, il film vive una messa in scena incalzante e piena di colpi di scena, cruda certamente e senza sconti, fatta di sussulti, crisi, ripensamenti. Nell’ottica di uno spiazzamento aspro e duro, cinico e forte ma non rassegnato al peggio. Clima da thriller con scene da psicodramma alla Tennessee Williams. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti.
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