Terza e ultima stagione per la serie “Tutto può succedere”, in onda su Rai Uno da lunedì 18 giugno per 8 prime serate (16 episodi in tutto), prodotta da Cattleya e Rai Fiction. Tornano le vicende quotidiane della famiglia Ferraro, ispirate alla serie statunitense della Nbc “Parenthood” che porta la firma tra gli autori di Ron Howard; è una grande famiglia alle porte di Roma, a Fiumicino, che ci accompagna a esplorare difficoltà e gioie della vita insieme. Nel cast confermatissimi tutti gli interpreti, molti volti importanti del cinema italiano tra cui Licia Maglietta, Giorgio Colangeli, Maya Sansa, Pietro Sermonti, Alessandro Tiberi, Matilda De Angelis e Giuseppe Zeno. Alla regia ritroviamo Lucio Pellegrini cui si affiancano quest’anno due new entry, Alessandro Casale e Fabio Mollo.
Il Sir con la Commissione nazionale valutazione film della Cei ha visto in anteprima tutti i sedici episodi della nuova stagione su Raiplay, grazie alla scelta della Rai di metterli online dal 5 giugno per tutti gli appassionati di pratiche di fruizione “immersive”, giovani in testa.
Novità e sfide per la famiglia Ferraro
Dalla messa in onda della prima stagione di “Tutto può succedere”, nel dicembre 2015, abbiamo imparato a conoscere la famiglia Ferraro per il suo grande attaccamento e per la forte coesione, nonostante le molte (dis)avventure quotidiane. Ci sono sempre i due capofamiglia, Emma ed Ettore (Licia Maglietta e Giorgio Colangeli), ormai nonni ma sempre pronti a fare da guida ai quattro figli ormai adulti, Alessandro (Pietro Sermonti), Sara (Maya Sansa), Giulia (Ana Caterina Morariu) e Carlo (Alessandro Tiberi), tutti alle prese con le proprie famiglie.
Ritroviamo dunque il primogenito Alessandro con la moglie Cristina (Camilla Filippi), coppia tra le più compatte, che però inizia a barcollare per le tante, troppe, pressioni innescate dal lavoro, così come dai figli da gestire: la ricerca disperata di un asilo nido per la più piccola Maria, l’ingresso nell’adolescenza del figlio quattordicenne Max (Roberto Nocchi), affetto da sindrome di Asperger, nonché le insicurezze sul domani della primogenita Federica (Benedetta Porcaroli), pronta a mollare l’università per dedicarsi al lavoro nel sociale.
C’è poi la secondogenita, Sara (Maya Sansa), madre sola con due figli praticamente adulti, Ambra e Denis (Matilda e Tobia De Angelis), ancora molto fragili nelle proprie scelte e bisognosi di presenza, di essere seguiti: Ambra vorrebbe diventare una cantante, ma fatica a trovare certezze in sé, Denis invece vorrebbe superare il suo primo dolore sentimentale, che lo destabilizza. E anche lei, Sara, continua a complicare la propria esistenza, tanto sul lavoro che nei sentimenti.
Bisogna sottolineare come il tema del lavoro occupi sempre un posto di rilievo nella narrazione della serie: si racconta infatti di quello precario, di quello dai ritmi compulsivi che mina le relazioni personali, sino alle difficoltà di realizzare la professione tanto sognata.
Tornano poi gli alti e bassi della coppia Carlo Ferraro e Feven (Esther Elisha), finalmente sposati: Mentre Carlo darà prova di maturità, Feven si sentirà più insicura nel suo ruolo, tra casa e lavoro. E poi c’è l’educazione del piccolo Robel, nella scuola primaria, che sperimenta episodi di bullismo e razzismo per la pelle nera; con Robel si affronterà (timidamente) anche il tema dell’incontro con la preghiera a casa, in famiglia, tra una nonna pronta alla condivisione e un papà refrattario, distante.
Infine, in questa stagione saranno più defilati Giulia Ferraro e Luca (Fabio Ghidoni), coppia “scoppiata” che cerca però di ritrovare il passo comune andando in Ucraina per l’adozione del piccolo Dimitri.
La famiglia che resiste, nonostante tutto
È una serie che funziona “Tutto può succedere”, anche e soprattutto nella terza stagione. Vediamo infatti storie di una famiglia, di più famiglie, che sperimentano non poche difficoltà in casa e fuori, nelle dinamiche dispersive della vita reale e digitale; famiglie che nonostante tutto però resistono, danno prova di solidità.
È proprio questo il bello del racconto, lontano da stereotipi e da facili soluzioni: mostrare pagine di vita familiare e dinamiche domestiche con una forte attenzione al quotidiano, attraverso una molteplicità di angolature che alternano ripetutamente registro drammatico e comico. Si passa così da dialoghi serrati, litigi spinosi, a risate spensierate, con una pace ritrovata tra fratelli o coniugi.
La famiglia Ferraro non è perfetta, barcolla per i continui inciampi o sviamenti, ma piace perché sa rimanere unita, sa affrontare insieme le difficoltà, scommettendo sempre sull’unità familiare e sul dialogo, sul perdono.
Tra le dinamiche in campo, colpisce con maggiore intensità l’esperienza della coppia Alessandro e Cristina – davvero bravissimi Pietro Sermonti e Camilla Filippi –, chiamati a convivere e condividere la condizione del figlio Max con l’Asperger, ma anche con la presenza di uno stress lavorativo deflagrante oppure l’arrivo improvviso di una malattia, elementi che rischiano di disintegrare tutto. Ma la coppia c’è, si tiene aggrappata, rinnovando ogni giorno l’importanza di essere famiglia. È probabilmente la pagina più bella di “Tutto può succedere 3”, questo rapporto di genitori e figli che cresce con forza, maturità e onestà.
Dall’Asperger al bullismo, attenzione ai piccoli
Da ultimo, l’Asperger. Avevamo affrontato l’argomento anche lo scorso anno, con il lancio della seconda stagione di “Tutto può succedere”: punto di pregio della serie è stato quello di accendere un’attenzione sulla sindrome di Asperger, affrontata con coraggio e delicatezza. Non se n’è parlato solo per le difficoltà di gestirla in famiglia, al momento della diagnosi, ma è stato mostrato anche il percorso di informazione, accettazione e soprattutto di riscatto. È stata evidenziata la grande ricchezza che le persone Asperger possono offrire alla famiglia, alla comunità tutta.
Toccante, in questa terza stagione della serie, il percorso del quattordicenne Max nell’ingresso al liceo: le difficoltà iniziali di stringere relazioni di amicizia, gli episodi di bullismo ed emarginazione, il riscatto con l’esperienza della candidatura come rappresentante d’istituto e infine la scoperta della fotografia, passione che lo avvicina alla comunità della classe.
Molti potranno sottolineare il grado di semplificazione che è stato fatto dell’Asperger nella narrazione, ma riteniamo che sia comunque una conquista l’aver portato il pubblico della prima serata di Rai Uno a confrontarsi con un tema simile, con uno sguardo attento ma anche fiducioso, stemperando le note drammatiche con sapiente umorismo. È, di fatto, la linea direttrice del cinema e della fiction contemporanea, quella di declinare malattia e disabilità ricorrendo all’umorismo, da “Quasi amici” a “Braccialetti rossi”.
Articolo disponibile anche su Agenzia SIR
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