Venezia76: ottavo giorno alla Mostra. In concorso “Saturday Fiction” di Lou Ye, “Babytheet” di Murphy e “Guest of Honour” di Egoyan.

76a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia, ottavo giorno di concorso.

giovedì 5 Settembre 2019
Un articolo di: Sir - Cnvf

Mercoledì 4 settembre per corsa al Leone d’oro troviamo l’australiano “Babytheet” dell’esordiente Shannon Murphy, il cinese “Saturday Fiction” firmato Lou Ye con la diva asiatica Gong Li, e il canadese “Guest of Honour” di Atom Egoyan, passato in tarda serata martedì 2 settembre. Il punto sulle proiezioni con il Sir e la Commissione nazionale valutazione film (Cnvf) della Cei.

“Saturday Fiction”
Nato a Shanghai nel 1965 da due artisti di teatro, il regista cinese Lou Ye presenta a Venezia 76 “Saturday Fiction”. Ambientato nella Shanghai del 1941, a poca distanza dall’attacco di Pearl Harbour, è il racconto della messa in scena di uno spettacolo teatrale con la famosa attrice Jean Yu (Gong Li); nelle pause della lavorazione, l’azione si sposta poi nell’albergo internazionale dell’artista, che diventa a sua volta palcoscenico di incontri segreti e operazioni di spionaggio.
“Strizzando l’occhio al coevo cinema americano” – dichiara Massimo Giraldi, presidente della Cnvf e membro della giuria del premio cattolico Signis – “citato soprattutto nel prezioso bianco e nero, il regista Lou Ye mette insieme un thriller spionistico sullo sfondo della Seconda guerra mondiale. Il racconto prende il via in maniera pulita e lineare, per diventare in seguito fin troppo sovraccarico di vicende collaterali di non facile lettura. Tuttavia il film riesce a convergere verso un finale di grande tensione e pathos, in ossequio alla grande tradizione del giallo a stelle e strisce”.
“L’ambientazione è senza dubbio elegante ed enigmatica, cui la scelta del bianco e nero imprime ancora più suspense” – afferma Sergio Perugini, segretario della Cnvf e membro della giuria Signis – “Interessante la sovrapposizione tra la dimensione della messa in scena teatrale e la ‘partita a scacchi’ spionistica. A dire il vero, il tutto poteva essere amalgamato meglio, in maniera più fluida e meno verbosa. A conferire forza narrativa al racconto è l’interpretazione di Gong Li, la più famosa attrice cinese che conferma intensità e capacità mimetiche. Un bel ritorno a Venezia per Gong Li, che potrebbe portarla a una nuova Coppa Volpi”.
Dal punto di vista pastorale, il film è complesso, problematico e adatto per dibattiti.

“Babytheet”
La seconda regista in competizione è un’esordiente. Stiamo parlando dell’australiana Shannon Murphy, che a Venezia 76 presenta “Babytheet” (“Denti da latte”). Il film racconta la vicenda di Milla, adolescente colpita da un cancro aggressivo; Milla è circondata dalle attenzioni dei genitori, che la stimolano verso una quotidianità sana e attiva. Quasi a voler scardinare questa calma apparente, Milla si getta in un’amicizia appassionata con il ventenne Moses, fuggito di casa e dedito alla droga.
“Dopo una lunga attività teatrale e televisiva, la regista Shannon Murphy passa dietro alla macchina da presa” – sottolinea Massimo Giraldi – “Il racconto si sottrae alle consuete modalità narrative dell’argomento, per concentrarsi sulla nascita di un sentimento tra due giovani. Un sentimento destinato a crescere e farsi valore di vita. Uno dei temi centrali è il rapporto di Milla con i genitori, tra momenti di intesa e accesi contrasti; tale rapporto è tratteggiato in maniera credibile, segnato da grande spontaneità”.
“Si fa sempre più nutrito il filone su cinema e malattia” – rimarca Sergio Perugini – “che oltre al registro drammatico negli ultimi dieci anni si è caricato anche di una vis ironica e umoristica, quasi a sfidare tale tabù narrativo. Il racconto della Murphy funziona dal punto di vista stilistico, con soluzioni visive originali e di grande freschezza. Cuore della storia è il sentimento d’amore e accoglienza, capace di squarciare orizzonti di speranza lì dove si fatica a trovarne traccia. Milla sente che la malattia la incalza e vede nel problematico Moses una via d’uscita, un modo per sottrarsi alla pressione schiacciante. In Moses però scopre di più: un giovane disperso da amare e cui ridare fiducia nella vita, nei legami familiari, nel domani”.
Dal punto di vista pastorale, il film è complesso, problematico e adatto per dibattiti anche tra adolescenti.

“Guest of Honour”
Canadese, classe 1960, Atom Egoyan non è nuovo al concorso veneziano. Ritorna ora alla Mostra con un thriller psicologico dal titolo “Guest of Honour” con David Thewlis, Luke Wilson e Laysla De Oliveira. È una storia sfumata ed enigmatica quella del film, che mette a tema la ricerca della verità: Veronica è in conflitto con il padre Jim, un integerrimo ispettore sanitario schivo e silenzioso; la donna, insegnate di musica in liceo canadese, incappa in una situazione imprevista che la conduce drammaticamente in prigione. Il padre non accetta la versione ufficiale dei fatti, pertanto cerca di andare in profondità nella vicenda.
“Quasi tutto giocato in flashback” – afferma Giraldi – “il film di Egoyan non è sempre coerente con la linea narrativa, inciampando in alcuni momenti di confusione. Il regista resta comunque a galla grazie alla sua notevole esperienza, che gli permette di mostrare personaggi robusti e credibili. Nel complesso il film possiede capacità attrattiva notevole, in primis per la linea mistery ben alimentata”.
“Un giallo non solo giudiziario ma anche dei sentimenti” – aggiunge Perugini – “Finisce sotto la lente d’ingrandimento il rapporto padre-figlia, che deraglia spesso per ingombranti silenzi o taciute verità. Verità apparentemente solide che però rischiano di vacillare spostando la prospettiva di osservazione. E in questo è molto talentuoso il regista Egoyan, che smonta le certezze e allarga il campo di osservazione. L’ambientazione autunnale canadese e la componente musicale incidono particolarmente nel racconto, aggiungendo atmosfera ed eleganza”.
Dal punto di vista pastorale, il film è complesso e problematico.

Articolo originale pubblicato su Agenzia SIR


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