Ancora famiglie allo specchio alla Mostra. Dopo “The Father” (2021), il regista francese Florian Zeller adatta la sua pièce “The Son” addentrandosi nuovamente nei tornanti dei legami familiari, nel rapporto padre-figlio. Un racconto che accende una luce sul dramma della depressione adolescenziale. Protagonista un intenso e inedito Hugh Jackman, in cerca di premio. Ancora, la regista francese Alice Diop presenta in Concorso “Saint Omer”, che esplora la maternità e le sue fragilità attraverso un caso giudiziario di infanticidio. Un’opera che mette in gioco, nel dramma, vibranti sfumature sul rapporto madre-figlio, sulla paura di essere inadeguati come genitori. Punto Cnvf-Sir dalla Mostra.
“The Son” – in Concorso
“The Father” (2020) non ha rappresentato solamente il folgorante esordio di Florian Zeller, con alle spalle un solido percorso teatrale, ma è anche il suo ingresso nel cinema hollywoodiano, suggellato due Premi Oscar: per l’attore protagonista Anthony Hopkins e la miglior sceneggiatura firmata dallo stesso Zeller insieme a Christopher Hampton. A distanza di due anni, l’autore torna a dirigere un altro struggente copione tratto da una sua pièce, un lavoro che esplora il rapporto padre-figlio e le sue zone d’ombra. Parliamo di “The Son”, interpretato da Hugh Jackman, Laura Dern, Vanessa Kirby, Zen McGrath e Anthony Hopkins.
La storia. New York oggi, Peter (H. Jackman) è un avvocato cinquantenne la cui carriera è prossima a una svolta, vicina a una candidatura politica a Washington. L’uomo è sposato in seconde nozze con la trentenne Beth (V. Kirby), e la coppia ha appena avuto un figlio. In verità Jack è già padre di un ragazzo adolescente, Nicholas (Z. McGrath), nato dalla relazione con la coetanea Kate (L. Dern). Il primo matrimonio è però naufragato da anni a causa di varie incomprensioni; a farne le spese è soprattutto Nicholas, che si è chiuso in se stesso. Dinanzi a prolungate assenze da scuola e ad allarmanti atteggiamenti autolesionistici, Jack decide di prendere il ragazzo in casa con sé…
“È un film sul senso di colpa, sui legami familiari e, in ultima analisi, sull’amore”. Così sottolinea il regista Florian Zeller, che aggiunge: “È in parte ispirato a emozioni che conosco personalmente. Volevo condividerle con il pubblico perché so che molte persone si confrontano con i disturbi mentali e che la vergogna e lo stigma associati a questi problemi possono ostacolare conversazioni necessarie e talvolta vitali”.
Zeller sorprende nuovamente con un dramma intimista, mettendo in scena i tormenti di un padre, di una madre, davanti a un figlio che si scopre malato. Nicholas è caduto nella vertigine della depressione giovanile, una vertigine che lo ha inghiottito a partire dalla fine del matrimonio dei genitori. Punto di vista della storia sono loro, le due figure genitoriali, come pure Beth, la nuova moglie di Peter: adulti che si adoperano con ogni sforzo per entrare nelle pieghe della mente e dell’animo di un adolescente provato e respingente, prigioniero del mal di vivere. Vediamo così Peter pedinare ogni gesto del figlio, cercare di leggere i suoi silenzi, di favorire in lui slanci di integrazione nella nuova scuola in cui viene iscritto; gli compra una giacca, sperando che la possa indossare a una festa, come tutti i ragazzi della sua età. Nicholas lo asseconda, trasmette timide aperture, ma intanto prosegue nel tagliarsi di nascosto, nell’infliggersi lesioni sulla pelle. Come Peter, anche la madre Kate prova a penetrare la cortina di ferro del ragazzo, tentativi che risultano puntualmente inefficaci, vani, disperati.
Zeller è bravo, anzi bravissimo, nel governare la storia, sia dal punto di vista della regia che della scrittura; si tiene lontano abilmente da percorsi narrativi prevedibili o schematici. In “The Son” non c’è infatti nessun personaggio che risulta stonato o “sbagliato”; i genitori che tratteggia sono profondamente umani, terreni, cui non è possibile addossare responsabilità o mancanze. Amano il proprio ragazzo, ma il loro amore non basta a fronteggiare un simile buco nero, la piaga della depressione giovanile. “The Son” mette pertanto in evidenza angosce, irrisolti e insicurezze genitoriali, le continue domande sull’adeguatezza o meno del proprio ruolo, sulla qualità e quantità della propria presenza in casa. Un cinema che si muove con passo sicuro, ma con delicatezza, regalando vibranti e contrastanti emozioni. Film complesso, problematico, per dibattiti.
“Saint Omer” – fuori Concorso
Se “The Son” mette a fuoco i tormenti di un padre, “Saint Omer” di Alice Diop si concentra sulle angosce di una futura madre, di una donna alle prese con la prima gravidanza e con lo spettro di errori nel passato del proprio genitore.
La storia. Francia oggi, la scrittrice trentenne Rama (Kayije Kagame) si reca nel Nord del Paese per seguire un processo di infanticidio presso il Tribunale di Saint-Omer. L’imputata è Laurence Coly (Guslagie Malanda), chiamata a difendersi dall’accusa di abbandono della figlia di pochi mesi sulla spiaggia dove si è poi abbattuta l’alta marea. Intenta ad approfondire gli avvenimenti e la dimensione psicologica dell’imputata, Rama viene assalita da una crescente angoscia: incinta di quattro mesi, si sente sfidata da quella tragedia, dalla paura di poter essere anche lei una madre “sbagliata”, come del resto lo era la propria di madre…
“Ispirata da una storia vera e spinta da un’immaginazione intrisa di figure mitologiche, ho scritto questo film su una giovane scrittrice che assiste al processo di una madre infanticida, con lo scopo di scrivere una rivisitazione contemporanea del mito di Medea”. È quello che racconta la regista Diop presentando il suo lavoro “Saint Omer” a Venezia79, scritto insieme alle sceneggiatrici Amrita David e Marie NDiaye. L’autrice si serve di un fatto cronaca per riflettere sulla maternità e sui suoi deragliamenti, ricollegandosi al mito greco di Medea, che sullo schermo trova identificazione nell’opera di Pier Paolo Pasolini del 1969, con l’interpretazione di Maria Callas.
Seguendo passo passo il dibattimento in aula, tra difesa e accusa, e alternando la narrazione con raccordi sulla condizione della scrittrice Rama, la regista Diop compone un quadro antropologico sfaccettato e dolente. Seppure il crimine sia atroce e ingiustificabile, l’autrice cerca di approfondire le origini del male, quali possano essere le leve (ir)razionali che conducono a un tale folle gesto. Un cinema marcatamente sociale, più di respiro antropologico che civile, che si muove in maniera analitica, tenendosi lontano da facili giudizi o soluzioni. Segnato qua e là da lungaggini, dilatazioni eccessive soprattutto nelle testimonianze in aula, il film risulta comunque valido e di stringente attualità. Complesso, problematico, per dibattiti.
La nota critica di Massimo Giraldi, presidente Cnvf – Giuria Signis
“Ancora una volta il rapporto genitori-figli tiene banco nel cartellone di Venezia79. Nell’ottavo giorno della Mostra altri due registi, due francesi, ci consegnano ritratti di genitori spaventati e incerti. Florian Zeller con ‘The Son’ mette in scena un padre schiacciato dal senso di colpa, dal timore di aver messo la propria felicità davanti a quella del figlio. Dall’altro lato Alice Diop con ‘Saint Omer’ ci consegna un’istantanea di madre intimorita dalla responsabilità cui si trova davanti. Due storie dolorose, tragiche, governate però con grande prudenza e lucidità. Non trapela giudizio, ma comprensione e tenerezza. Racconti che si candidano a farsi occasione per riflessioni e dibattiti in una società spesso troppo distratta o incapace di elaborare le fragilità psicologiche che abitano le famiglie. Un invito a tenere vivo il dialogo”.