La serie Tv “Chernobyl” nel ciclo di proposte pastorali della Cnvf per la 54a Giornata delle comunicazioni. Un dramma della Storia recente segnato dall’eroismo di uomini pronti al sacrificio per la salvezza del prossimo
Per la prima volta nel ciclo di proposte della Commissione nazionale valutazione film della CEI per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali c’è una serie Tv. Si tratta della miniserie “Chernobyl” (2019) in onda in Italia su Sky Atlantic e sulla piattaforma NowTv, oltre che disponibile in dvd in lingua originale. La Commissione film della CEI ha scelto la miniserie come approfondimento del Messaggio di papa Francesco, “Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria” (Es 10,2). La vita si fa storia, perché l’opera racconta con efficacia e grande realismo una tragedia della recente storia europea, una notte buia per l’uomo, dove però il coraggio e il sacrificio di molti, di eroi del quotidiano, hanno permesso di arrestare l’avanza dell’oscurità gettando una luce di speranza. “Chernobyl” è dunque il concitato racconto della caduta nella vertigine del Male, ma anche della resistenza riparatrice dell’uomo, capace di tessere una rete di protezione per la comunità contemporanea e futura. Un racconto capace di fare memoria e testimonianza.
“Chernobyl”, le linee di racconto
È la notte del 26 aprile 1986 quando esplode il reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl in Unione Sovietica (oggi territorio dell’Ucraina settentrionale). Seguono concitate azioni di tecnici disorientati, squadre di vigili del fuoco intente a sedare l’inarrestabile rogo, tutti ignari della presenza corrosiva di radiazioni fuori controllo. Poi le telefonate con i tavoli del potere nella capitale sovietica, dove si fatica a comprendere l’accaduto. Inammissibile per una superpotenza. Il racconto si stringe infine sulle indagini e le azioni dello scienziato Valerij Legasov (Jared Harris), chiamato a trovare risposte, un modo disperato per contenere tale disastro. Accanto a lui c’è Boris Shcherbina (Stellan Skarsgård), uomo di apparato, che seppure inizialmente scettico supporta con vigore Legasov. Con loro due (figure realmente esistite) c’è anche la scienziata Ulana Khomyuk (Emily Watson), personaggio di finzione pensato per dare volto ai tanti esperti in prima linea in quei giorni disperati.
Uno sguardo duro, ma necessario
Un piccolo fenomeno nel panorama televisivo 2019. Parliamo della miniserie “Chernobyl”, di matrice anglo-americana, in 5 puntate in tutto, diretta dal regista Johan Renck e scritta da Craig Mazin, una produzione del network statunitense HBO.
Alla 71a edizione degli Emmy Awards, i riconoscimenti più rilevanti della Tv, ha ottenuto tre premi pesanti: miglior miniserie, regista e sceneggiatore; ai Golden Globe 2020 poi si è aggiudicata ugualmente la statuetta nella categoria miniserie e per l’attore non protagonista Stellan Skarsgård.
“Chernobyl” è una ricostruzione lucida, accurata, stupefacente, del disastro nella centrale nucleare sovietica avvenuto nell’aprile del 1986. È una cronaca serrata degli avvenimenti scatenati dal sito nucleare, un esplorare graduale, sordo, fatti e azioni degli uomini del tempo, ora eroiche ora meschine. Nelle cinque puntate – Ep. 1 “1:23:45”, Ep. 2 “Please Remain Calm”, Ep. 3 “Open Wide, O Earth”, Ep. 4 “The Happiness of All Mankind”, Ep. 5 “Vichnaya Pamyat” – passiamo dalla calma apparente, che precede il disastro, alla vertigine di emozioni implacabili dinanzi al susseguirsi degli eventi: sconvolgimento, sconforto, rabbia, dolore, tanto dolore, e poi infine misericordia.
Vedere “Chernobyl” non è un’esperienza facile. Ci vuole stomaco, forza, per sostenere lo sguardo dinanzi a immagini così atroci, a vite di uomini, di famiglie, del creato, violentate e “sprecate” dall’incuria umana. In questo la regia asciutta di Johan Renck non fa sconti, le immagini sono di un realismo a tratti sconvolgente. Un realismo però necessario.
Una visione raccomandabile proprio per il racconto della Storia, per fare memoria del passato comune. A ben vedere, è quanto è avvenuto e tuttora avviene con il racconto della Shoah tra cinema e Tv, determinante nel processo di elaborazione comune. “Il cinema è memoria – sottolinea la studiosa Claudia Hassan – Il cinema sulla Shoah, in particolare, è diventato il paradigma stesso della memoria” (Cfr. D.E. Viganò- E. De Blasio, “I film studies”, Carocci 2013). Possiamo, dunque, affermare che la serie Tv “Chernobyl” vada nella stessa direzione, si muova sullo stesso binario narrativo, risultando altrettanto preziosa per elaborare una dolorosa frattura del recente passato, che possiede così tante contaminazioni con l’oggi.
“Chernobyl” è un modo di fare televisione da servizio pubblico, con una qualità di racconto eccellente, che nulla invidia al cinema. E poi gli attori Jared Harris, Emily Watson e Stellan Skarsgård sono di una bravura imbarazzante, capaci di accompagnare lo spettatore in stati crescenti di allarmismo, indignazione e poi resilienza.
In evidenza, un momento della miniserie
“Chernobyl” possiede molti elementi di richiamo al Messaggio di papa Francesco per la 54a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Oltre al tema del racconto di storie di uomini, di eroi del quotidiano, la miniserie tocca anche il tema della memoria, del lavoro e dell’ecologia, riflessioni che il Papa fa anche nella Lettera enciclica “Laudato si’” (2015) come pure nell’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium” (2013).
Tra gli episodi in particolare da approfondire è l’ultimo, il quinto, “Vichnaya Pamyat”, dove emerge con forza il racconto della verità, dove l’eroismo di uomini comuni si impone sulle falsità diffuse e sugli atteggiamenti omertosi. Non c’è più spazio per la menzogna, ma solo per la testimonianza, che infonde così a un racconto fosco e ansiogeno una luce di speranza.
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