“Jojo Rabbit” (2020) di Taika Waititi scelto dalla Cnvf per la 54a Giornata delle comunicazioni. La presa di coscienza del dramma Shoah attraverso lo sguardo di un bambino
Spiazzante e sorprendente è la commedia drammatica “Jojo Rabbit” di Taika Waititi, vincitrice quest’anno dell’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale. È il racconto dell’orrore della Seconda guerra mondiale e soprattutto del dramma della Shoah attraverso il percorso di formazione del piccolo Jojo Rabbit, che da fanatico del regime nazista scopre le falsità e atrocità commesse dal Terzo Reich grazie a un incontro che cambia, quello con la giovane ragazza ebrea Elsa. Per tali motivi l’opera è stata scelta dalla Commissione nazionale valutazione film della CEI per riflettere sul Messaggio di papa Francesco per la 54a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali.
L’amicizia ritrovata tra Jojo ed Elsa
Tratto dal romanzo di Christine Leunens, il racconto si snoda nella Berlino del 1945. Johannes Betzler (Roman Griffin Davis) è un bambino di dieci anni che vive da solo con la mamma Rosie (Scarlett Johansson); segue con fanatismo Adolf Hitler, con cui dialoga continuamente come se fosse il suo amico immaginario, e milita nella Gioventù hitleriana. Tutti però lo prendono in giro con il soprannome Jojo Rabbit, perché nelle esercitazioni non si dimostra coraggioso e non è capace di nuocere al prossimo. Un giorno Jojo scopre che in casa la madre nasconde una ragazza ebrea, Elsa (Thomasin McKenzie). Prova subito stupore, sconcerto, ma anche curiosità verso di lei, che gli ricorda tanto la sorella scomparsa prematuramente. Inizia così un serrato confronto e dialogo, mentre il mondo fuori combatte l’ultima battaglia per porre fine alla guerra.
Raccontare il buio della guerra con umorismo gentile
Ai premi Oscar edizione 92 “Jojo Rabbit” (2020) di Taika Waititi ha corso per ben sei statuette, tra cui quelle per miglior film e attrice non protagonista Scarlett Johansson; alla fine ha conquistato l’Oscar per la sceneggiatura non originale firmata dallo stesso Waititi. Il film è stato scelto anche dal Torino Film Festival come apertura della sua 37a edizione.
Il piccolo Jojo Rabbit rappresenta l’ingenuità di un’umanità soggiogata dall’idea della supremazia della razza, dal mito nazi-fascista. Jojo ha dieci anni ed è imbevuto di proclami; venera Hitler al punto tale da visualizzarlo nella vita di tutti i giorni come amico immaginario (straordinaria l’interpretazione che regala Taika Waititi, muovendosi sul tracciato del cinema comico di Mel Brooks). Jojo fa di tutto per compiacere il suo amico e per essere accettato dai suoi compagni, i membri della Gioventù hitleriana; è però incapace di far del male, ha un cuore buono e gentile, cresciuto nel segno della tenerezza dalla madre Rosie.
E Rosie fa di tutto per salvare il suo bambino dalla deriva nazi-fascista, ricordandogli sempre l’importanza del rispetto verso il prossimo e instillando in lui il valore della solidarietà. In più, la donna si muove segretamente nella resistenza, tra coloro che vogliono rovesciare il Terzo Reich; nasconde inoltre in casa una ragazza ebrea, Elsa, sottraendola al destino della deportazione.
Sono proprio questo attivismo della madre Rosie e l’incontro con Elsa a cambiare lo sguardo di Jojo. A ben vedere, Elsa in principio viene vista come una minaccia da Jojo, progressivamente però il bambino scopre in lei una confidente, un’amica, una sorella. Così prossimità e tenerezza rieducano il cuore di Jojo liberandolo dai legacci di idee vuote e malate del nazismo.
È qui che sta la genialità e la forza del racconto di Taika Waititi: a scuola di tenerezza e tolleranza Jojo Rabbit impara a guardare il mondo fuori con le lenti giuste, a cogliere le atrocità e le storture del suo presente, ma anche a individuare un bagliore di speranza nel mondo che cade a pezzi. Un cambiamento che il regista rimarca passando dai toni umoristici e sarcastici iniziali, scelti per descrivere il folle contesto del Terzo Reich, alle note drammatiche, senza filtri, con cui squaderna la realtà davanti a Jojo, con cui rivela i crimini abominevoli. E la figura di Hitler viene così ridimensionata, anzi si dissolve del tutto dalla vista di Jojo, sotto una pioggia di lacrime pesanti miste a rabbia, quella dell’inganno.
Lo spettatore rimane spiazzato dal mix di storia e stile narrativo, dall’umorismo di matrice nera, ma piano piano le risate muoiono in gola lasciando il posto alla commozione e a evidenti guadagni educativi. Nell’economia del racconto è da rilevare, poi, oltre ai personaggi già menzionati, la figura del capitano Klenzendorf, interpretato dal sempre bravo Sam Rockwell, che si dimena come un rigido e spietato gerarca ma in verità desidera solo protegge l’innocenza di Jojo e la vita della sua amica Elsa.
Nel complesso il film “Jojo Rabbit” risulta un trascinante romanzo di formazione che tiene apparentemente sullo sfondo gli orrori della guerra; la figura di Jojo fa esperienza del male e del dolore, anche se il racconto si muove con una cifra ironico-sarcastica, ma non per questo il film manca di intensità e profondità. Al contrario, forse questo stile narrativo eccessivo e tutto giocato sull’umorismo nero può rappresentare una chiave comunicativa-divulgativa sui temi della memoria, della guerra e della Shoah, sulla scia di classici come “La vita è bella” (1997) di Roberto Benigni o “Train de vie” (1998) di Radu Mihăileanu. Dal punto di vista pastorale “Jojo Rabbit” è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
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