“Ricondotta alla dimensione antropologica, la metafora della rete richiama un’altra figura densa di significati: quella della comunità. Una comunità è tanto più forte quanto più è coesa e solidale, animata da sentimenti di fiducia e persegue obiettivi condivisi. La comunità come rete solidale richiede l’ascolto reciproco e il dialogo, basato sull’uso responsabile del linguaggio”. È quanto indica papa Francesco nel suo Messaggio per la 53a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Una riflessione sui rapporti umani, trovano senso e guadagno grazie al dialogo e alla condivisione.
Su questo tema si inserisce bene il film “La casa sul mare” (“La villa”) del regista francese Robert Guédiguian, in concorso alla 74a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia. Un’opera-bilancio esistenziale tra il cammino di vita percorso e gli incontri vissuti per i protagonisti, mescolando nostalgia del passato, rimpianti ma anche timidi sguardi di speranza sul futuro. “La casa sul mare” è l’ottava proposta del ciclo di 18 film scelti dalla Commissione nazione valutazione film e dall’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della CEI per approfondire il tema del Messaggio del Santo Padre.
Nella di famiglia tra malinconia e tenerezza
Scritto e diretto Robert Guédiguian, “La casa sul mare” racconta la Francia contemporanea. In una casa sul mare a Marsiglia si ritrovano tre fratelli per occuparsi dei genitori e fare il punto sui beni di famiglia: Angèle (Ariane Ascaride) è un’attrice che vive Parigi, impegnata tra teatro e televisione; Joseph (Jean-Pierre Darroussin) è uno scrittore irrisolto e in crisi di identità; e Armand (Gérard Meylan), rimasto sul posto, porta avanti il ristorante della famiglia. Un incontro tra fratelli carico di malessere, silenzi, ricordi e confessioni. Drammi sparsi che sembrano poi trovare un punto di condivisione dinanzi al bisogno dell’“altro”, in questo caso dello straniero giunto sulle coste francesi. Quando l’accoglienza porta con sé saggezza e speranza.
La poesia sociale di Guédiguian
Classe 1953, il regista e sceneggiatore francese Robert Guédiguian si è imposto sulla scena europea per sguardi intensi, intimi e visionari. Della sua filmografia si ricordano “Marius e Jeannette” (1997), “La ville est tranquille” (2001) e “Le nevi del Kilimangiaro” (2011). Con “La casa sul mare” mette in scena un mondo a lui noto, il contesto geografico-paesaggistico di Marsiglia, ma anche lo sfondo socio-culturale della città, coinvolgendo nel cast anche la moglie-attrice Ariane Ascaride.
Il film mette al centro del racconto un gruppo di personaggi, tre fratelli adulti, vicini alla soglia dei sessant’anni, che si incontrano nella vecchia casa di famiglia sulla costa francese. Se l’intento è quello di affrontare questioni pratiche, l’evoluzione delle dinamiche porta a fare emergere incomprensioni, gelosie e rimpianti. L’andamento del racconto non è aspro, bensì poetico e struggente. Il film si pone come metafora della fine di un’epoca, dell’affacciarsi di problematiche sempre più complesse come la perdita del lavoro, la fine dell’ideologia, la vecchiaia e la questione dei migranti.
Guédiguian compone un racconto suggestivo, andando a fotografare i cambiamenti all’interno tanto della dimensione familiare quanto della società contemporanea. Nel film c’è il dolore per la perdita del passato, per una realtà ormai trasformata, che ha cambiato passo. I nostri protagonisti si sentono tagliati fuori, sul crinale di un passaggio epocale dinanzi al quale si percepiscono impotenti e inadeguati.
Emerge infine il tema dell’integrazione. I tre fratelli si ritrovano vicini, uniti nel dare aiuto a un gruppo di migranti africani, aprendo loro le porte di casa. Spariscono così gli ingombranti irrisolti tra loro a favore del bene del prossimo; gli stranieri trovano così pronta accoglienza e vicinanza in quella vecchia casa sul mare.
Come nei film precedenti, Guédiguian si serve di interpreti affiatati e ben calati nei singoli ruoli, che danno spessore e convinzione alla storia. È un’opera complessa, problematica e certamente utile per dibattiti.
Il premio della Giuria cattolica internazionale Signis
La giuria Signis alla Mostra del cinema di Venezia 2017 – Organizzazione mondiale cattolica per le comunicazioni –, presieduta da Douglas Fahleson (Irlanda) e composta da Massimo Giraldi (Italia), Iván Giroud (Cuba), Marianela Pinto (Ecuador) e Callum Ryan (Australia), ha deciso di assegnare il riconoscimento al film francese “La casa sul mare” con la seguente motivazione: “Una rappresentazione contemporanea del mondo in cui viviamo oggi. ‘La villa’ (‘La casa sul mare’) ha molto da dire sui legami familiari, il significato della casa, il rapporto con i vicini (migranti), e il confronto con la popolazione che invecchia. In un tranquillo villaggio di pescatori minacciato dall’urbanizzazione, tre fratelli tornano a vedersi per prendersi cura dei genitori malati. Questo cambiamento diventa catalizzatore di speranza che coinvolge tutti. Un’onesta e commovente celebrazione della vita”.
Valutazione pastorale Cnvf
I tre fratelli: Angela è attrice e vive ora a Parigi tra i momenti belli e brutti della professione. Joseph vorrebbe fare lo scrittore, sta insieme ad una ragazza molto più giovane di lui che lo sostiene e lo incoraggia. Armand è l’unico rimasto nel paese di origine, dove continua a gestire il piccolo ristorante di famiglia. Il racconto soffre all’inizio della mancanza di dinamica narrativa. Eppure quasi da subito movimenti, sguardi, sentimenti ruotano intorno ai protagonisti e ne definiscono pregi e limiti. Fin dalla presentazione alla 74a Mostra di Venezia dove era in concorso, il film ha colpito per la capacità di scavare con malinconia e senza paura nelle pieghe di un passato difficile da rileggere. La riunione, che favorisce l’incontro tra i tre fratelli, diventa ben presto un espediente per ricordare il passato, le passioni condivise e sottolineare le fratture sociali del presente. Angela, Joseph e Armand hanno molto in comune ma non riescono a nascondere le loro diversità. La vita li ha portati lungo percorsi lontani e distanti tra loro, li ha indotti a essere severi e capaci di dure valutazioni reciproche. Tra di loro correva quel qualcosa che prima li infiammava e ora li lascia indifferenti se non palesemente rivali. La fine delle ideologie incombe sulla loro emotività, secondo una frattura che talvolta è esplicita talaltra finisce in una sommessa patetica perdita di memoria. Guédiguian è regista francese di visioni ampie e profonde, già autore di titoli importanti “Le nevi del Kilimangiaro” e “Le passeggiate al Campo di Marte”. Qui recupera uno stile narrativo improntato ad una poetica decadente e dai tratti struggenti. Guardando al progressivo allontanarsi dei suoi personaggi dalla quotidianità e dalla realtà delle cose, l’autore li fa tornare indietro a vedere se stessi, come erano da giovani. Sequenza febbrile e memorabile che rimanda a quel cinema francese che mette in campo il senso della vita e della storia. Ricordare non per costruire nostalgia ma per scavare nel passato e rimetterlo in gioco nel presente. Aggredire la vita come inizio di una nuova scommessa da promuovere e da combattere punto su punto. […]. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti.
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